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Perchè il mondo teme i dazi di Trump

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Viene giù tutto, colpa dei dazi di Trump! È la verità o la semplice percezione alimentata e amplificata dal “mainstream”? Tutte e due le cose. In realtà il presidente USA non sta facendo nulla di diverso da quello che ha sempre “predicato” in campagna elettorale, e se il rischio era quello che sta verificandosi ora sui mercati, non si capisce perché tale presa di posizione non sia stata adottata in tempi utili per allontanare lo spettro della sua elezione – è piuttosto facile “manipolare” le masse, esattamente come sta accadendo ora –

di Luca Lippi

Quando “TUTTI” i mercati lanciano il medesimo messaggio non significa la loro autodistruzione – sarebbe illogico a pensarci bene – significa che stanno esprimendo il loro parere. Non è necessariamente il respingimento a una politica ma potrebbe essere anche l’esortazione a incentivare le controparti a trattare, quindi scendono finchè questo non accade.

Quando tutto crolla, è come se non crollasse nulla. Non è un evento che si contrappone al suo contrario, se esistessero solo poveri non avrebbe senso parlare di ricchezza, e viceversa.

La situazione è rappresentata dall’immagine, ma i mercati non ragionano col principio del “mal comune, mezzo gaudio”, e quindi c’è un’anomalia.

COSA È SUCCESSO REALMENTE

È successo che un’ondata di vendite ha travolto l’azionario globale. I listini americani sono crollati e l’Europa non è stata da meno. A Milano, si sono viste prese di beneficio pesanti. Le vendite si sono accavallate in modo tale che la velocità di discesa dei prezzi è stata esponenziale rispetto alla quantità di offerta di azioni in vendita.

Altro elemento che ha causato il crollo è il mercato statunitense che non ha interpretato la proclamazione dei dazi come una mossa strategica per negoziare, ma come un attacco diretto alla globalizzazione. Gran parte della responsabilità è da addebitarsi allo stillicidio mediatico da parte di chi non ha digerito l’elezione del Tycoon. La conseguenza: vendite diffuse e precise che hanno messo tutti i listini sotto pressione, senza eccezioni. La paura, come sempre, non fa distinzioni. E nel panico si vende tutto, senza riguardo.

SCENARI FUTURI

Ci sono tre opzioni per cercare di inquadrare eventuali scenari futuri: Trump a causa del caos generatosi, adotta una retromarcia completa. Oppure si entra in un loop di trattative a oltranza con alterne minacce, sospensioni, controproposte e ulteriore incertezza. Infine nessuna trattativa, quindi contro-dazi.

Il primo è da escludere, gli altri due sono l’uno la conseguenza dell’altro e, in ogni caso detestati dalle Borse. Il secondo scenario è già ampiamente scontato dai mercati, il male minore che comunque prevede trattative estenuanti e uno stato persistente di incertezza che disturba più di ogni altra cosa la stabilità delle contrattazioni. In assenza di stabilità, non c’è visione futura da parte degli investitori e quindi la situazione potrebbe stagnare a lungo così com’è ora (tra alti e bassi). Il terzo scenario, invece, provocherebbe ulteriori cali dei listini perché non è stato ancora preso in considerazione.

PROTEGGERE L’INDUSTRIA NAZIONALE?

Sebbene l’intento dichiarato dei dazi di Trump è quello di proteggere l’industria nazionale e riequilibrare i rapporti commerciali, per molti imprenditori – soprattutto quelli inseriti in catene del valore globali o che esportano, soprattutto se ideologicamente esposti – rappresentano un aumento dei costi, un rischio di ritorsioni, una fonte di incertezza e una minaccia alla loro competitività e redditività. Preferiscono generalmente un ambiente commerciale stabile, prevedibile e con basse barriere.

Possiamo riassumere il timore dei dazi degli imprenditori – specie quelli che operano in un’economia globalizzata – in otto punti

Il primo è l’aumento dei Costi di Produzione. Molte aziende, anche quelle che producono negli Stati Uniti (o in qualsiasi altro paese), dipendono da materie prime, componenti o semilavorati importati. I dazi su questi beni importati aumentano direttamente i costi di produzione.

Il secondo motivo sono le ritorsioni Commerciali (Guerre Commerciali). Quando un paese (come gli USA sotto Trump) impone dazi, è molto probabile che i paesi colpiti rispondano con dazi propri sui beni esportati dal primo paese. Questo danneggia gli imprenditori che esportano i loro prodotti.

Il terzo motivo è l’interruzione delle Catene di Approvvigionamento. Le moderne catene di approvvigionamento sono globali e ottimizzate per l’efficienza e il costo. Dazi improvvisi o minacciati costringono le aziende a riconsiderare e potenzialmente ristrutturare queste catene, un processo costoso, lungo e rischioso. Potrebbero dover cercare nuovi fornitori, magari meno efficienti (a scapito della qualità del prodotto) o più costosi.

Il quarto motivo è la riduzione della Competitività. Se i costi di un’azienda aumentano a causa dei dazi (sia sui materiali importati che per le ritorsioni sulle esportazioni), essa diventa meno competitiva rispetto alle aziende di altri paesi non soggetti a tali dinamiche. Questo vale sia sul mercato interno (se i concorrenti non usano input tassati) sia sui mercati esteri.

Sesto motivo è l’incertezza. La politica commerciale basata su dazi spesso crea un clima di grande incertezza. Gli imprenditori faticano a fare piani a lungo termine (investimenti, assunzioni, sviluppo di nuovi prodotti) se non sanno quali saranno i costi futuri, quali mercati saranno accessibili o se ci saranno nuove ondate di dazi o ritorsioni. Le aziende prosperano sulla stabilità e la prevedibilità. L’approccio di Trump è stato spesso percepito come imprevedibile e volatile.

Settimo motivo è l’aumento dei Prezzi per i consumatori e calo della domanda. Le aziende che affrontano costi maggiori a causa dei dazi hanno due scelte principali: assorbire i costi (riducendo i profitti) o trasferirli ai consumatori aumentando i prezzi. Prezzi più alti possono portare a una diminuzione della domanda per i loro prodotti.

Ultimo, ma non ultimo, motivo è l’impatto Negativo sull’Economia Generale. Guerre commerciali e dazi diffusi possono rallentare la crescita economica globale, ridurre gli investimenti e persino contribuire a recessioni. Un’economia più debole danneggia quasi tutte le imprese.

TRUMP E LA GLOBALIZZAZIONE

Questa è la situazione in termini generali, ma non significa che nel tempo non si trovi un equilibrio o un riequilibrio dell’impalcatura economica mondiale. Del resto, la globalizzazione è un’invenzione relativamente recente, purtroppo mai adeguatamente normata, motivo per cui il Tycoon vuole costringere tutte le economie a pianificare le regole del gioco perché è troppo facile. Per chi ha un costo del lavoro bassissimo, proporre prodotti a prezzi concorrenziali alterando le più elementari regole di lealtà concorrenziale. Oltretutto c’è il problema della delocalizzazione che vede sempre più aziende migrare in Paesi con costi di produzione e fisco più favorevoli. Questo è un serio problema che alla lunga provoca disoccupazione e distrazione di proventi finanziari da Paesi più strutturati a Paesi in via di sviluppo. È questo che intende Trump quando parla di sfruttamento.

IL CROLLO ECONOMICO GLOBALE

Anche in questo caso siamo alle iperboli. È come anteporre “attentato” o “shock” a un titolo con lo scopo di attirare l’attenzione.

In realtà un crollo economico globale, inteso come la disintegrazione del sistema finanziario e produttivo mondiale, non avviene dai tempi della Grande Depressione [ ne abbiamo parlato qui ]. Le crisi successive, come quella del 2008, sono state gravi ma non catastrofiche.

Esiste una paura legittima, amplificata dall’interconnessione delle economie e la vulnerabilità che ne consegue (non sempre tenersi tutti per mano è sinonimo di forza, è ridicolo franare in un burrone per colpa di uno solo perché non ci si può divincolare) ma sono state contenute. Altro motivo che amplifica l’effetto panico è la diffusione di trader autonomi, al 90 per cento impreparati. Un rischio di bassa probabilità non dovrebbe avere un impatto così forte.

Un vero crollo economico si concretizza quando c’è un fallimento diffuso delle istituzioni finanziarie (banche), quando c’è iperinflazione o deflazione sfrenate, crisi contagiosa dei debiti sovrani (quando ci si tiene per mano) … nulla a che vedere con quanto sta accadendo ora.

CI SARA’ LA RIPRESA DEI MERCATI?

Questa è la domanda delle cento pistole. I mercati, non appena si definiranno i confini delle azioni e delle reazioni politiche, riprenderanno la loro corsa naturalmente. Non siamo di fronte a un ripiegamento causato da un crollo di utili delle aziende quotate, siamo in pieno panico da una “potenziale” riduzione di utili delle aziende a seguito di un “potenziale” cambio delle strutture economiche globali.

Di sicuro le vendite di questi giorni non sono solo frutto di panico. Sono, prima di tutto, sane e doverose prese di profitto a fronte di uno scenario cambiato, che ha generato panico, semmai, come effetto collaterale e il panico si fatica a contenerlo. Che le prese di beneficio siano da considerarsi finite è complicato da prevedere, di sicuro ci saranno sbalzi e rimbalzi causati da cattiva individuazione del punto di fine corsa dei ribassi (supporto). Il momento di ripresa si individua solo quando un supporto si manifesta come solido, e la sua solidità si individua solo con un rialzo e con i volumi.

Nella situazione di volatilità attuale viene naturale scegliere di attendere. Un buon momento per ricominciare a guardare i mercati potrebbe essere dopo il 16 aprile – data in cui il Presidente del Consiglio italiano incontrerà Donald Trump per discutere e trattare sui dazi – è evidente che l’UE non intende esporsi direttamente, e invia uno dei Paesi Membri – unico ad avere rapporti cordiali oltre le implicazioni ideologiche – a sondare il terreno. Se le intenzioni dell’UE sono quelle di intavolare una trattativa, allora la discesa è a fine corsa. Perché – lo abbiamo anticipato sopra – i mercati hanno scontato proprio questa opzione.