
Gli Stati Uniti stanno crollando, il dollaro sta perdendo fiducia, i consumatori cominciano a parlare di boicottaggio dei prodotti americani
di Luca Lippi
In caduta libera, tutte insieme come vagoni di un treno che appare all’improvviso tra i fumi, le “narrazioni” perpetue: la Cina e L’Europa sostituiranno gli Stati Uniti; la valuta dei BRICS sostituirà il Dollaro; Trump farà crollare il paese e nessuno vorrà più investire in America…tutte affermazioni ormai decennali e da decenni non succede niente. Vediamo come dovremmo comportarci, secondo i commentatori – unici a guadagnare sulla dabbenaggine e la memoria corta degli analfabeti funzionali -.
“BOICOTTIAMO GLI USA, NON ANDIAMO DA MC DONALD’S E BUTTIAMO GLI IPHONE“
L’affermazione più forte di tutte – probabilmente per non rischiare di scivolare nel grottesco – non è ancora stata fatta: smettiamo di investire negli Stati Uniti! Fin qui non c’è arrivato ancora nessuno – per fortuna -. Perché poi i banchieri – quelli veri – potrebbero dire la loro facendo crollare il giochino del complotto a orologeria.
Cominciamo col dire che gli Stati Uniti, in tutti i prodotti di investimento proposti dalla finanza a servizio dei risparmiatori (ETF per esempio), sono presenti al 70 per cento. Segue il Giappone con 5,5 per cento e il Regno Unito col 3,5 per cento. Tutti, indistintamente. In sostanza, oggi affermare di investire nei mercati globali è investire negli Stati Uniti.
Al netto delle bestialità ostruzionistiche/fantasiose su Mc Donald ’s che da lavoro in tutto il mondo (non si porta gli operatori dagli Stati Uniti e consuma prodotti alimentari della filiera del Paese che li ospita). Oppure vogliamo parlare del boicottaggio di Netflix o di Google che a loro volta finanziano l’industria cinematografica e sono veicolo pubblicitario per milioni di aziende locali. Soprattutto soddisfano la psiche di milioni di persone che amano sbriciolare pop-corn e patatine sul divano perché ormai incapaci di socializzare. E ancora, vogliamo strappare i milioni di iPhone dalle manine dei nostri piccoli che ormai non sanno più che i mezzi pubblici hanno i finestrini per guardare il mondo reale o costringerli a conversare mentre mangiano una pizza?
DECIDERE DI INVESTIRE OVUNQUE TRANNE CHE IN USA?
Ammesso e non concesso che si voglia protestare contro gli Usa e si decida di volere investire ovunque tranne che in America, basta “capare nel mazzo” e si trovano ETF che lavorano sugli indici di tutto il mondo ma senza contemplare quelli statunitensi. Una scelta anche condivisibile, indipendentemente dal fatto che si voglia protestare il ciuffo più impertinente d’America, ma c’è differenza?
Vediamo subito! Intanto spolveriamo il concetto di “correlazione”, necessario per capire quanto segue. La correlazione degli indici è una misura statistica che quantifica la relazione tra due variabili, come due indici di borsa o due impieghi di un’azienda. In estrema sintesi, la correlazione è una misura della capacità di una variabile di cambiare in funzione dell’altra.
Il grado di correlazione si esprime con un coefficiente che va da -1 a +1, il coefficiente 0 indica che non c’è correlazione, il coefficiente +1 indica una correlazione positiva perfetta, il coefficiente -1 indica una correlazione negativa perfetta. Per approfondire, prima che vi sequestrino l’iPhone e interrompano l’accesso a Google per rappresaglia, potete andare a studiare.
Detto questo, la tabella che segue mostra l’indice di correlazione con gli USA sia di tutto il mondo sia di tutto il mondo senza gli USA.

IL MAGGIOR NUMERO DI MULTINAZIONALI SONO STATUNITENSI
Più l’indice si avvicina a “uno” più indica che Stati Uniti e l’indice di riferimento si muovono allo stesso modo. Tra gli anni 80 e 90 l’indice si è mosso diversamente dagli Stati Uniti perché in quel lasso di tempo ci fu la “moda” del Giappone. Era realmente in forte ascesa, ma non abbastanza per creare un vero pericolo all’economia più forte (lo è ancora) del mondo. Tanti hanno creduto che il Giappone potesse sostituire gli Stati Uniti tant’è che il Sol Levante valeva- all’epoca – il 40 per cento dell’indice World.
Ovviamente il Giappone non riuscì a imporsi come super potenza e quindi la correlazione tornò inevitabilmente a favore dei Sati Uniti. Dopo il 2000, tutti gli indici sono entrati in correlazione con gli USA, per un motivo molto semplice. Internet e la globalizzazione hanno trasformato tutte le più grandi aziende in multinazionali. E poiché il maggior numero di aziende multinazionali sono statunitensi, ecco che tutto il mondo finanziario entra in correlazione con gli USA. Conclusione: investire sugli Stati Uniti o non farlo, non cambia niente (almeno sulla correlazione).

Come si può vedere, non cambia nulla anche in termini di rendimenti. Le linee (blu è USA, rosso è World senza USA) si replicano – al netto del periodo 80/90 per il motivo descritto sopra – per poi spiccare nettamente dopo il 2000 (internet e globalizzazione).
COSA CONVIENE FARE “OGGI”
Nell’era del Trump bis, alla luce di quanto accaduto fino ad ora, ci sarebbero tre opzioni possibili:
- rimanere passivi perché nel tempo tutto si riallinea
- spostarsi su ETF che escludano il mercato americano
- scegliere due ETF, uno globale e l’altro globale senza USA
Sembra non essere un vero e proprio consiglio, ma per un investitore passivo che non ha alcuna possibilità e competenza per tradare, queste sono le uniche strade da percorrere (oltre quella di evitare di leggere le teorie complottistiche senza alcun senso che si susseguono).
Quello che è successo dimostra che ineluttabilmente i mercati sono legati agli USA. Se le cose dovessero andare come da previsioni complottistiche, la possibilità che anche i mercati non USA seguano il destino del mercato USA è elevatissima.

Questo è l’ultimissimo calo di Borsa, da inizio anno sia USA (linea bianca) sia mondo senza Stati Uniti (linea rossa) sia mercati emergenti (linea viola) sono scesi – sicuramente in misura diversa, è evidente – ma si nota come tutti i mercati siano fortemente correlati. E questo Trump lo sa benissimo, non è il babbeo che vogliono far credere.
Sta di fatto che, allo stato dell’arte, boicottare gli USA è solo propaganda, anche lievemente in mala fede – involontaria per molti perché anche la mala fede richiede competenza per essere esercitata -.
COME STANNO REALMENTE LE COSE?
Ovviamente, qui entriamo nella riflessione personale. Trump vuole usare il debito USA come vera leva negoziale. Oltre i Dazi che ha utilizzato come “scavino” per suonare la sveglia dopo l’indolente amministrazione Biden.
Il vero problema degli USA è il debito pubblico che ha superato i 34 trilioni di dollari. Cina e Giappone stanno riducendo l’esposizione, il rifinanziamento del debito è sempre più complesso e costoso. Trump vorrebbe risolvere il problema “fidelizzando” le altre economie attraverso il debito. I dazi non sono solo protezionismo. Diventano leva negoziale per costringere gli stati – una volta seduti al tavolo – a barattare la possibilità di vendere in USA con l’acquisto del debito, pena il dazio.
Il sistema più intuitivo potrebbe essere – forse nella mente del Tycoon – quello di introdurre una sorta di “tessera a punti”. I punti sono i Treasury. Più Treasury hai meno dazi si pagano, fino a possederne una somma tale da essere esentati da ogni tipo di dazi.
IL TITOLO PERPETUAL
Il titolo rappresentativo del debito pubblico che potrebbe avere in mente Trump per mettere a regime questa strategia sarebbe il “perpetual”, un titolo senza scadenza ma che garantisce il pagamento di interessi perpetui. Stiamo parlando – per i più anziani – di titoli simili ai nostri vecchi “irredimibili” (annullati dalla L. 30-3-1981). Per rendere “funzionale” il perpetual, serve un tasso molto basso: se Powell abbassa i tassi, l’operazione diventa sostenibile, se i tassi restano alti, il meccanismo salta. Qui entra il braccio di ferro tra il Presidente USA e il governatore della FED; Powell dovrebbe quindi diventare il regista silenzioso, fondamentale per il piano.
Il perpetual ha una sua genialità perché solleva il creditore dalla necessità di rifinanziarsi continuamente. Paga solo interessi per sempre. È come fosse un mutuo in eterno pre-ammortamento. Diventare creditore perpetuo conferisce trattamenti di favore. Per l’emittente il debito si trasforma da zavorra a strumento di alleanza geopolitica, non più dazi imposti dagli USA, ma cedole di fedeltà. Il cambio di “paradigma” – come dicono quelli bravi – è proprio questo, una sorta di evoluzione di “modello di potere”. Una rete globale di fedeltà basata sul debito che va oltre il concetto di NATO o dollaro come riserva di valore. Chi sottoscrive il “perpetual” entra nel sistema, chi lo rifiuta, rischia dazi, isolamento e ritorsioni. Obiezioni? Certo, è solo fantapolitica. Però, cosi come movimento carsico, la scacchiera sta muovendosi in modo tale che i tasselli, unendosi, arrivino alla conclusione ipotizzata.