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IL DUELLO TRUMP VS POWELL

casa bianca washington dc

Sarebbe piacevole tornare a parlare di mercati, ma allo stato dell’arte, possiamo solo osservare movimenti isterici e confusi. Un pilota di formula uno toglierebbe le mani dal volante per evitare di rompersele, in attesa dell’impatto, fiducioso nella cellula protettiva. La situazione è esattamente quella descritta, un continuo testa e coda in attesa dell’impatto

di Luca Lippi

Perché il mercato non pone fine a questa isteria? La risposta è banale per chi si occupa professionalmente di finanza, i mercati hanno necessità di un riferimento. Se è vero, come è vero, che non hanno padroni, è comunque certo che all’interno di una contesa vogliono un vincitore chiaro per capire con chi devono confrontarsi.

È inutile soffermarsi sul fatto che la ricerca di certezze da parte dei mercati è condizionata dalle indecisioni di Trump. A lungo i mercati hanno patito anche le indecisioni della FED, anzi, hanno patito in assoluto di più le indecisioni delle Banche Centrali piuttosto che le linee politiche.

Niente di nuovo per gli USA

Non c’è nulla di inedito, anzi, è piuttosto usuale. Le Banche Centrali nei Paesi democratici sono istituti che godono di una autonomia nei confronti del potere politico. Dato per assunto che le politiche economiche sono due – la politica fiscale e la politica monetaria – sarebbe solo da individuare, delle due, quale sia la più importante.

La politica fiscale è gestita dal Governo, la politica monetaria è di competenza della Banca Centrale.

Negli USA il presidente della FED è di nomina presidenziale e a seguire confermato a maggioranza dal Senato. L’attuale presidente della FED è stato nominato da Trump durante il suo primo mandato (2018) e poi riconfermato da Biden (2022). Nella contesa alle cronache c’è l’intoppo (per Trump) del mandato di Powell che è in scadenza solo nel 2026. Powell non può essere “licenziato” da Trump e il presidente della FED potrebbe essere sollevato dall’incarico solo per manifesta incapacità (non è mai successo nella storia).

Trump contro Powell

Trump contesta a Powell una scarsa elasticità nella gestione della politica monetaria, di fatto contestandogli l’addebito di una staticità perniciosa e di un interventismo spesso non tempestivo. Powell, dal canto suo, ritiene che la politica fiscale di Trump (i dazi) sarebbe foriera di inflazione (vero), siccome la FED è deputata a mantenere il potere di acquisto del Dollaro e controllare l’inflazione, ovviamente non abbassa i tassi finche Trump non definisce la reale direzione della politica fiscale.

Trump ha fretta di risolvere la contesa con Powell poiché fra una settimana ci sarà il dato della stima sul PIL americano relativo al primo trimestre (previsto in flessione) e Trump non ha alcuna intenzione di partire col primo dato negativo della sua amministrazione.

Al netto di quanto sopra, nella sostanza, tra Trump e Powell, chi ha ragione? Fatta salva l’autonomia della FED – necessaria per garantire l’equilibrio democratico del Paese – bisogna comunque sottolineare che Governo e Banca Centrale devono operare per il bene del Paese, quindi in sinergia. Lo scontro tra i due poteri, che approfondiremo più avanti, non è utile alla soluzione di eventuali problemi

Il debito pubblico americano

Allo stato dell’arte c’è una difficoltà a far sottoscrivere titoli del debito pubblico americano e Powell non può che allettare gli investitori con tassi adeguati alla bisogna. Per Trump, invece, la priorità è la crescita che necessita di tassi molto più contenuti.

Se la stima del PIL dovesse essere più negativa del prevedibile, sarebbe quasi costretto a rendere la politica monetaria più espansiva e probabilmente il mercato sta già pensando di anticipare il taglio dei tassi. Questo significherebbe che ha ragione Trump? A volere essere obiettivi, hanno ragione tutti e due, la differenza corre solo sull’impetuosità di uno e sulla inflessibilità dell’altro, ma alla fine il punto di caduta sarà necessariamente nel mezzo e di tutta questa tensione se ne conserverà un ricordo per poche ore.

La situazione dall’estero

Abbiamo imparato a conoscerli? Probabilmente no! Di Trump si parla solo di quello che la stampa enfatizza, l’attenzione dell’opinione generale si ferma a una narrazione.

Trump rappresenta uno “scandalo” solo per chi lo guarda con occhi “stranieri”, in Europa addirittura si ride di lui, tronfi di una superiorità che nella sostanza è il mascheramento di un complesso di inferiorità conclamato. L’Europa dipende dagli Stati Uniti, sopravvive grazie agli Stati Uniti, è stata salvata dal sacrificio di milioni di soldati statunitensi.

Gli americani e Trump

Per milioni di americani (la stragrande maggioranza stando ai sondaggi) Trump è l’uomo che parla la lingua del “popolo” americano. La sua elezione non è affatto un errore ma un effetto. Tramp rappresenta le istanze di chi si sente tradito, abbandonato e derubato da un sistema che cambia faccia ma non la sostanza. Trump è la voce del “popolino” contro le vessazioni degli apparati e dei poteri forti. Per chi non arrivasse a capire di cosa si parla, Trump è come fosse la rabbia di Pannella la lingua di Bossi, la furia di Cossiga. L’unica differenza, Trump è “the President” per la seconda volta!

La tecnica comunicativa è ridotta all’osso, non discute mai, colpisce senza avvertire. Semmai dopo aggiusta il tiro e quasi sempre nega, anche l’evidenza. Prima individua il bersaglio e poi lo demolisce pubblicamente. I modi saranno poco istituzionali – e lo sono – ma sono i modi di chi non deve rendere conto del politicamente corretto, cioè quello che quasi tutti desiderano ma non osano dire.

Il bersaglio di Trump, ora, è Powell. In questi giorni è nella fase della “demolizione” pubblica del capo della FED, a breve passerà all’attacco frontale.

Powell rappresenta le istituzioni

Jerome H. Powell è una delle figure più potenti e influenti nell’economia globale, poiché le decisioni della FED sotto la sua guida (in particolare sulla politica monetaria, come la fissazione dei tassi di interesse) hanno un impatto enorme sull’inflazione, sull’occupazione, sui mercati finanziari negli Stati Uniti e, di conseguenza, in tutto il mondo. Powell non urla, è molto istituzionale, rappresenta un “potere”, è il guardiano dell’equilibrio monetario. Oggi Powell è l’autorità che ostacola – non abbassando i tassi – il sogno americano, con questa motivazione il Tycoon sta mettendolo sotto pressione.

Parliamoci chiaramente, Trump non ha nulla contro Powell, è stato lui nel suo primo mandato a chiamarlo alla guida della FED. Trump combatte Powell per quello che rappresenta, il potere che non vuole cambiare mai – noi lo chiamiamo “la casta” -. La casta è il potere che vuole comandare sempre anche quando gli attori politici cambiano e/o governano senza farsi eleggere.

L’obiettivo di Trump

È piuttosto palese, vuole picconare il potere da dentro, ha deciso che deve esserci una sola testa a decidere per dare la direzione, poi, una volta avviata la macchina, potrebbe anche essere disposto a lasciare. L’unico potere cui Trump da ascolto è quello che rappresenta la “difesa”. La strategia è quella di tendere una mano a Putin che è molto a rischio di cadere nella rete cinese. Andando a perseguire la pace in Ucraina, vuole spezzare il legame tra Putin e Xi Jinping, indebolire Pechino riportando Putin dalla parte dell’Occidente. È piuttosto intuitivo che gli USA non possono fare la guerra a tutti, l’unico sistema è quello di ostacolare alleanze tra la Cina e altri Paesi, la Russia di Putin è sicuramente una parte di mondo da togliere con sollecitudine dalla disponibilità della Cina.

Quale direzione sarà presa?

Intanto, è bene chiarire che i mercati stanno funzionando correttamente, sostanzialmente seguono l’andamento di una volatilità molto accentuata, in attesa di individuare un “potere” definito cui riferirsi e rapportarsi. In estrema sintesi attendono di uscire dalla confusione attuale che non è determinata da dazi – peraltro ancora non definiti e probabilmente mai operativi neanche in un prossimo futuro – ma è determinata dai duelli fra Trump e il “deep state” (leggasi caste).

Trump è assolutamente determinato a raggiungere le condizioni ideali per attuare il suo programma, allo stato attuale mancherebbe solo un taglio dei tassi da parte della FED per potere avviare il piano dei “perpetual” che sono lo strumento necessario a definire le trattative necessarie ad azzerare ogni possibile dazio. In questo modo avrebbe la liquidità per intervenire sulla sanità e sulla stabilizzazione di milioni di posti di lavoro.

La strategia è quella di rilancio economico degli USA

La FED dal canto suo, rassicurata dalla non anomalia di movimento dei mercati finanziari, intende rimanere ferma sulle sue posizioni conscia anche del fatto che nella sua disponibilità può battere un solo chiodo alla volta. Questa staticità inchioda i piani di Trump e da qui ha origine il duello attuale.

Mentre la FED può occuparsi di una sola cosa alla volta – stabilità dei prezzi o piena occupazione – Trump è convinto di risolvere tutte e due le cose arrivando a regime con la sua strategia di rilancio economico degli USA. Ora, il problema è stabilire se sia giusto che la politica influenzi così tanto un baluardo dell’equilibrio finanziario come la FED – perché Trump potrebbe fare di tutto per creare le condizioni necessarie a provocare una dismissione di Powell dal suo ruolo –. Si creerebbe un precedente piuttosto grave e questo è noto ai duellanti, quindi ci si aspetterebbe un avvicinamento per mediare una soluzione senza alterare gli equilibri. Probabilmente Trump starà provando a stanare Powell dal suo immobilismo istituzionale allo scopo di coinvolgerlo nella ricerca di una soluzione che salvi “capra e cavoli”.