
Un nuovo studio internazionale sulla Terra dei Fuochi
La rivista Science of the Total Environment ha pubblicato uno studio guidato dall’Università Federico II di Napoli e dallo Sbarro Health Research Organization (SHRO) di Philadelphia, diretto dal professor Antonio Giordano, sulla Terra dei Fuochi, espressione nata negli anni 2000 per indicare una vasta area che si estende in Campania, a cavallo tra la provincia di Caserta e l’allora provincia di Napoli, in relazione all’interramento di rifiuti tossici e rifiuti speciali, alla presenza di numerose discariche abusive sparse sul territorio, e all’innesco di numerosi roghi di rifiuti, che diffondono diossina e altri gas inquinanti nell’atmosfera.
Lo studio ha utilizzato un bioindicatore vegetale – il muschio Scorpiurum circinatum – per monitorare i livelli di contaminazione atmosferica in alcune zone della Campania, inclusi territori considerati “non a rischio”. Gli scienziati hanno posizionato dei “moss bag”, piccole sacche contenenti muschio vivo, in sei siti distribuiti su due aree di studio: una zona industriale nel comune di Giugliano in Campania e la foresta che circonda la Reggia di Carditello, contesto rurale apparentemente immune da fonti dirette di inquinamento. Come punto di controllo, è stata scelta un’area montuosa remota e non antropizzata, il Monte Faito. I muschi sono rimasti esposti per tre periodi differenti: 21, 42 e 63 giorni. Successivamente, sono stati analizzati per rilevare la presenza di sette metalli e metalloidi tossici – tra cui arsenico, mercurio, piombo, cadmio e rame – e per verificare eventuali danni cellulari e segni di stress ossidativo nei tessuti vegetali.
I contaminanti trovati nei campioni
Già dopo 21 giorni, i campioni provenienti da Carditello e Giugliano mostravano livelli significativi di contaminanti. In particolare, l’arsenico ha raggiunto concentrazioni di circa 2,2 mg per kg di tessuto, il rame 17 mg/kg e il mercurio 0,06 mg/kg. Secondo i ricercatori sono valori sufficienti ad innescare risposte biologiche gravi nel muschio, come l’attivazione di meccanismi di difesa antiossidante e danni cellulari osservabili al microscopio. Il dato più drammatico deriva dal fatto che le differenze tra l’area industriale e quella rurale sono minime. “Non esiste più un luogo sicuro nella Terra dei Fuochi”, ha sottolineato la co-autrice della ricerca, la dottoressa Adriana Basile.
L’impatto dello studio non riguarda solo l’ambiente, ma anche la salute pubblica. Non a caso l’approccio One Health, promosso da organizzazioni come l’OMS e la FAO, sostiene l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale.
Redazione