
Tra dazi, tensioni in Medio Oriente e manovre delle banche centrali, i mercati finanziari si preparano a un’estate turbolenta. Cosa c’è dietro le scelte di Trump e i segnali di ripresa USA
di Luca Lippi
Per comprendere l’attuale panorama dei mercati finanziari, è necessario analizzare due fronti principali: l’escalation geopolitica in Medio Oriente e le complesse dinamiche dell’economia americana, fortemente influenzate dalle politiche di Trump.
L’attacco israeliano in Iran e le reazioni di mercato
L’attacco di Israele in Iran ha scosso il mondo delle materie prime, spingendo il petrolio a superare nuovamente la soglia chiave dei 70 dollari. Il tempismo di questa mossa non è casuale: arriva dopo che Trump ha siglato un accordo con Arabia Saudita ed Emirati Arabi escludendo Israele, un segnale che il premier Netanyahu, da abile stratega, ha colto per agire. Nonostante la gravità degli eventi, il rischio di una guerra aperta su larga scala appare, paradossalmente, basso. Di conseguenza, sebbene il prezzo del petrolio possa continuare a salire, è improbabile che esploda. A bilanciare la tensione c’è infatti una domanda globale in ripresa e la decisione dell’OPEC+ di aumentare la produzione di 411.000 barili al giorno da luglio.
L’economia USA a due velocità
L’economia americana viaggia su due binari: i servizi sono robusti, mentre il settore manifatturiero resta debole. Tuttavia, i segnali di una possibile ripresa ci sono. Indicatori come il rapporto tra rame e oro (Copper/Gold) suggeriscono che il manifatturiero potrebbe essere sottovalutato e sorprendere positivamente quando si concretizzerà. Questa dualità si riflette sull’inflazione. Per ora, i dazi di Trump non hanno ancora innescato una vera pressione sui prezzi. La ragione? Duplice. Domanda debole: i consumatori, con i risparmi del periodo Covid ormai esauriti, spendono meno. Le aziende, quindi, non possono scaricare facilmente i costi sui clienti senza perdere vendite. Scorte pre-dazi: molte imprese si erano mosse in anticipo, accumulando enormi scorte di merci prima dell’entrata in vigore dei dazi. Questo “scudo temporaneo”, però, sta per esaurirsi. Siamo in un “periodo di incubazione”: gli effetti reali dei dazi potrebbero manifestarsi nei dati di giugno o luglio.
I dazi sono un’arma negoziale, con l’Europa nel mirino
L’obiettivo di Trump non sembra essere una guerra commerciale totale, ma usare i dazi come potente leva negoziale. L’eccezione è l’Europa, definita “l’ultima” nella lista dei partner con cui trattare. La minaccia è concreta e scritta nero su bianco nel “Big Beautiful Bill” con la cosiddetta “tassa della vendetta”. Un attacco diretto al sistema fiscale europeo per costringere Bruxelles a cambiare il modo in cui tassa le multinazionali americane. I dazi porteranno inflazione? Probabilmente sì, ma la vera domanda è quando. I modelli prevedono che, con tariffe al 30 per cento sulla Cina, l’inflazione generale potrebbe assestarsi intorno al 3-3,5 per cento. Numeri non da panico, ma più alti di quelli a cui siamo abituati.
Come reagiscono i mercati? Il gioco del TACO Trade
Attualmente, i mercati sono posizionati per uno scenario di “disinflazione”: i grandi gestori di fondi stanno vendendo asset americani (short USA) e comprando Europa ed emergenti. Tuttavia, questa è solo una parte della storia. L’altra è la scommessa sul cosiddetto “TACO Trade” (Trump Always Chickens Out): i mercati credono che Trump, pur di evitare una recessione, non tirerà mai la corda fino in fondo. Il suo asso nella manica è il deficit pubblico: stampare debito per iniettare liquidità nell’economia, sostenendo cittadini e imprese. Questa convinzione spiega perché, nonostante tutto, molti si preparano a un “reflation trade”: un ritorno a posizioni lunghe (long) su dollaro e azioni americane, scommettendo su un’economia che riaccelera.
Il quadro attuale presenta tutti gli ingredienti per un potenziale ribaltamento di scenario. Crescita americana probabilmente sottovalutata. Inflazione pronta a riaccendersi. Posizionamenti di mercato attualmente ribassisti sull’America. Geopolitica in costante ebollizione. Questo mix potrebbe innescare un improvviso cambio di rotta, premiando chi saprà leggere i segnali in anticipo.
Il risiko bancario si accende: OPS e manovre occulte
Il risiko bancario entra nel vivo. Lunedì 16 giugno parte l’OPS di BPER su Popolare di Sondrio, la prima vera operazione che sembra destinata ad andare in porto. Ma a scuotere la settimana è stata la mossa a sorpresa di JPMorgan, salita al 10 per cento di BPER. Dietro questa operazione, molti analisti vedono la mano di Unicredit, alla disperata ricerca di una soluzione per non restare al palo. Con il dossier Banco BPM congelato e la strada per Commerzbank in salita, l’istituto di Piazza Gae Aulenti è a un bivio: o trova una mossa vincente o rischia di essere il grande sconfitto di questa stagione di M&A. Una prospettiva che il ceo Andrea Orcel non può permettersi e i cui nodi verranno presto al pettine. Sullo sfondo, rimane l’intricato puzzle che coinvolge Monte Paschi, Mediobanca e Generali. Una partita a scacchi con molteplici incognite, in cui anche Banca Generali potrebbe giocare un ruolo da protagonista.