
Tensioni in Medio Oriente e massimi storici in Borsa: i mercati sono a un bivio
di Luca Lippi
Attacco all’Iran per evitare la guerra. Il raid americano sugli impianti di Fordow non è l’inizio di un conflitto, ma un’azione isolata e calcolata, forse persino preannunciata a Teheran, per forzare una rapida attenuazione delle tensioni. Al netto del fatto che non ci sono immagini e neanche resistenza a un attacco ampiamente preannunciato, sorvoliamo i particolari – materiale che si lascia volentieri ai gossippari geopolitici – e pianifichiamo un’analisi asciutta.
Attacco all’Iran: crisi controllata o strategia elettorale?
Sullo scacchiere mediorientale, la mossa di Trump è dettata da una debolezza interna: i suoi elettori sono stanchi delle guerre e lui ha bisogno di chiudere la crisi in fretta. Ma questa urgenza concede un vantaggio all’avversario. A Teheran sanno che il tempo gioca a loro favore: resistere qualche mese basta a mandare in tilt i piani della Casa Bianca. La partita si concluderà quindi, molto probabilmente, con una “patta”: l’Iran chiede di sospendere la caccia al proprio leader e risponderà con una mossa minore e gli stati uniti proporranno di fermare tutto, senza che nessuno possa dichiararsi vincitore.
I mercati finanziari restano calmi
Gli investitori (quelli professionali) sanno distinguere il rumore dal segnale. La reazione composta dei mercati all’attacco in Iran non è casuale. È il frutto di un pragmatismo affinato negli ultimi anni. Analizzando lo scenario, gli operatori hanno rapidamente concluso che le opzioni più estreme – blocco di Hormuz o invasione – erano altamente improbabili, dato il contesto politico americano. Di conseguenza, il petrolio, le borse e gli asset alternativi non hanno registrato il panico da “terza guerra mondiale”. Questa capacità di filtrare le notizie conferma una tendenza più ampia. La finanza globale non reagisce più a ogni titolo di giornale, ma attende che gli eventi si concretizzino.
Oltre alla tensione geopolitica, i mercati finanziari si trovano a un bivio puramente tecnico, un punto di equilibrio instabile che, per sua natura, non può durare. Capire questa dinamica è fondamentale per orientarsi nelle prossime settimane. Essere “in prossimità dei massimi storici” non è solo un dato statistico, è un potente ostacolo psicologico. Questo livello agisce come un soffitto, dove si scontrano due forze opposte e potentissime: venditori e compratori. Per i venditori questo è il momento ideale per “prendere profitto“. Considerano il mercato “caro” o sopravvalutato e vedono nei massimi il punto di massimo rischio, il momento perfetto per vendere prima di una possibile inversione. Per i compratori, spingere i prezzi oltre questo “soffitto”, non basta l’inerzia. Servono nuove motivazioni, nuova liquidità e una forte convinzione che la crescita possa continuare. Devono assorbire tutta la pressione dei venditori. Questo scontro crea una “battaglia campale”. Il mercato esita, si muove lateralmente, accumulando un’enorme energia potenziale. Più a lungo dura questa fase di stallo, più violento sarà il movimento successivo, in una direzione o nell’altra.
Derivati, scadenze tecniche e reset dei mercati
Ad aggiungere benzina sul fuoco è il fatto che questo stallo avviene subito dopo un’importante “scadenza tecnica” (come il “Venerdì delle Tre Streghe”). Durante questi eventi, enormi volumi di contratti derivati (opzioni e futures) giungono a scadenza. Questo costringe gli operatori a chiudere le vecchie posizioni e a decidere come riposizionarsi per il trimestre successivo. L’effetto è un vero e proprio “reset” del mercato. Molte delle strategie che avevano “ancorato” i prezzi a determinati livelli vengono meno. Il mercato si libera di zavorre e vincoli, diventando più “leggero” e reattivo a nuove informazioni. È come se le carte venissero rimescolate, preparando il terreno a una nuova, grande scommessa direzionale. La combinazione di questi due fattori – un mercato in bilico sui massimi e “resettato” dalle scadenze – crea uno scenario esplosivo. L’indecisione non può durare. O i compratori troveranno la forza per rompere il soffitto con convinzione, innescando un potente rally alimentato dalla paura di chi è rimasto fuori (FOMO – Fear Of Missing Out), oppure il muro dei venditori terrà, e la delusione darà il via a un’inversione altrettanto rapida e decisa.
In questo contesto, la direzione futura è appesa a un filo: quale fattore prevarrà? La fredda resilienza dei mercati, ormai “allenati” a ignorare le crisi, o il peso reale di una tensione geopolitica che minaccia di destabilizzare l’economia globale?
Come comportarsi: swing trading vs intraday
Questo dipende dalla competenza, in assenza della quale è bene affidarsi a un professionista che, oltre conoscere alcune dinamiche, conosce anche il profilo di rischio psicologico del suo cliente. In ogni caso: mantenere posizioni aperte per più giorni o settimane (swing trading) significa esporsi al “rischio overnight”. Un titolo di giornale inatteso, un tweet o un’escalation militare notturna possono provocare un’apertura di mercato disastrosa (“gap down”), in grado di saltare qualsiasi stop loss e generare perdite ingenti. Ogni notte diventa una scommessa sull’assenza di cattive notizie. Al contrario, una strategia intraday – che prevede l’apertura e la chiusura di tutte le posizioni entro la fine della giornata – diventa un’ancora di salvezza. Il suo più grande pregio è arrivare a sera “flat”, cioè senza alcuna esposizione al mercato. Si rinuncia a possibili guadagni notturni, ma si elimina completamente il rischio legato a eventi imprevedibili che accadono a borse chiuse. È una scelta tattica per navigare in acque agitate, riducendo al minimo il “tempo a mercato” e, di conseguenza, il proprio grado di vulnerabilità. L’esempio dei dazi è emblematico: per mesi sono stati un rischio astratto, ma hanno innescato il crollo solo quando sono diventati legge. I mercati, in sostanza, ignorano il “forse” e prezzano solo il “certo”, anche se questo significa reagire in ritardo.