Home Costume e Società Carceri italiane al collasso: sovraffollamento, caldo estremo e diritti negati

Carceri italiane al collasso: sovraffollamento, caldo estremo e diritti negati

carcere situazione detenuti

Il nuovo rapporto Antigone denuncia condizioni sempre più disumane negli istituti penitenziari. Alemanno da Rebibbia: “La politica dorme con l’aria condizionata”

di Katrin Bove

Il carcere italiano è di nuovo in emergenza. Ma non è una sorpresa: lo certifica con dati alla mano il Rapporto 2025 di Antigone, l’osservatorio indipendente sulle condizioni detentive, che descrive un sistema penitenziario sovraffollato, surriscaldato e carente di tutele minime, dove il diritto alla salute e alla dignità personale è sempre più compromesso.

Sovraffollamento cronico e caldo estremo: il bollettino di una crisi strutturale

Secondo il rapporto di Antigone, pubblicato e rilanciato anche dal Corriere della Sera lo scorso 30 giugno, le carceri italiane ospitano oltre 61.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 51.000 posti. Con un tasso di affollamento che supera in media il 120%, alcuni istituti raggiungono punte drammatiche: il carcere di Brindisi al 186%, quello di Latina al 167%, mentre Milano San Vittore resta tra i più affollati in assoluto.

In questo contesto già esplosivo, si aggiunge l’emergenza climatica: celle senza aria condizionata, cemento armato che amplifica le temperature e ventilatori a pagamento (se disponibili). L’ondata di caldo, combinata alla mancanza di spazi e alla scarsità di personale, rende la vita dietro le sbarre sempre più insostenibile.

Antigone segnala anche che oltre 3.000 persone dormono a terra, mentre continua a salire il numero di suicidi in carcere: 38 nei primi sei mesi del 2025, già oltre la media degli anni precedenti. Una situazione che rischia di costituire, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, un trattamento “inumano e degradante”.

La denuncia da Rebibbia: “Qui dentro è un forno. Ma la politica dorme”

A dare voce a questa realtà è anche l’ex ministro Gianni Alemanno, detenuto da sei mesi a Rebibbia. In un lungo post pubblicato su Facebook il 29 giugno, Alemanno descrive con parole taglienti e ironiche l’inferno estivo vissuto dai detenuti. “Se uno studente volesse sperimentare cosa significa gradiente termico, dovrebbe farsi un giro per le scale di Rebibbia”, scrive. Dall’umidità sopportabile del piano terra si passa a una cella in cima “con dieci gradi in più, esposta al sole da tre lati”.

Alemanno denuncia l’assenza di ventilazione, la burocrazia che blocca perfino la consegna di un ventilatore acquistato con i propri fondi, la mancanza di personale nei reparti e situazioni sanitarie fuori controllo. Parla di detenuti malati lasciati senza cure, errori gravi di assegnazione (trans nel reparto sbagliato, anziani tra i giovani), e ritardi inspiegabili nell’esecuzione delle misure alternative anche per soggetti fragili e con tutti i requisiti.n Nel suo racconto, ricorre come un mantra una frase che è già diventata uno slogan di denuncia: “Ma la politica dorme (con l’aria condizionata)”.

Soluzioni tampone e promesse vuote

Il governo ha recentemente annunciato l’acquisto di strutture prefabbricate per 32 milioni di euro che potranno ospitare 384 detenuti. Ma, come denuncia anche Alemanno, si tratta di un palliativo costoso e inefficace. “83.000 euro a detenuto, che non basteranno nemmeno a contenere l’incremento mensile della popolazione carceraria”.

Il rapporto Antigone sottolinea che manca una strategia di lungo periodo, che valorizzi le misure alternative alla detenzione e rafforzi il sistema di sorveglianza esterna. Oggi, appena 13.000 persone scontano la pena fuori dal carcere, nonostante l’Italia disponga di strumenti legislativi per ampliare questa platea.

Dimenticati due volte: nelle celle e nell’informazione

Chi muore in carcere, muore due volte: nella cella e nell’indifferenza collettiva”, scrive Alemanno. Un’accusa che va oltre la politica e chiama in causa anche i media, che solo raramente portano all’attenzione dell’opinione pubblica il dramma carcerario. Mentre si discute di legge e ordine, di repressione e sicurezza, le condizioni materiali di vita dietro le sbarre restano invisibili.

Ma il problema non riguarda solo i detenuti. Anche gli agenti della Polizia Penitenziaria, in sotto organico e costretti a lavorare in condizioni estreme, sono vittime dello stesso sistema: “Girare nei reparti roventi in divisa è diventato un supplizio”, si legge nel rapporto.

Una riforma non più rinviabile

Se l’Italia vuole tornare a essere un Paese che rispetta la propria Costituzione (art. 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”), deve affrontare con coraggio e competenza il tema delle carceri. Le soluzioni esistono: riduzione del ricorso alla custodia cautelare, rilancio delle pene alternative, ammodernamento strutturale degli istituti, potenziamento del personale sanitario e giuridico.

Fino ad allora, ogni estate nelle carceri italiane sarà una stagione di pena dentro la pena