di Pietro Romano

Niente vaccini, siamo europei”, si potrebbe amaramente dire parafrasando una divertente commedia musicale di qualche anno fa. Come ha dimostrato con dovizia di particolari, e di nomi e cognomi, la collega Milena Gabbanelli sul “Corriere della Sera” siamo di fronte al più grave flop della storia europea ma finora dai palazzi delle istituzioni comunitarie non solo non si sono viste dimissioni ma nemmeno scuse. Del resto, se molti Paesi europei, Italia compresa, stanno provando enormi difficoltà a combattere l’epidemia è anche per i tagli draconiani alla sanità se non imposti, suggeriti, dalle politiche economiche dettate da Bruxelles.

“Sulle fiale l’Europa ha dormito”, ha tagliato corto un gentiluomo ultranovantenne esperto del settore quale pochi, Silvio Garattini, presidente dell’Istituto farmacologico “Mario Negri”. Chiarendo subito dopo che, però, come minimo “il nostro governo non ha vigilato”. Un combinato disposto che ha portato a un Paese in mezzo al guado con dati del tutto insoddisfacenti nella campagna di vaccinazione (e chissenefrega che cosa succede negli altri Stati dell’Ue, come dimostra il Regno Unito si poteva, e doveva, fare di meglio) con picchi negativi rispetto anche all’Ue tra gli ultraottantenni. Tutto ciò dopo aver subito per mesi e mesi la bubbola dell’Italia invidiata dal mondo intero che invece si ritrova con uno dei peggiori indici di mortalità globali. E anche in questo caso nessuno che si dimetta, anzi si verifica la continuità proprio nel dicastero della Salute che ha conservato il titolare Roberto Speranza, autore del libro per fortuna non uscito su come avevamo sconfitto il Covid, l’estate scorsa.

“L’importante è la salute”, dice il proverbio. E su questo fronte non mi pare che, complice l’eurocrazia inadeguata, si sia ben messi. Anche da altri fronti europei, purtroppo, non arrivano troppe gioie. Prendiamo la decisione della Corte europea con sede in Lussemburgo in tema di salvataggi bancari. Fu un errore giuridico fermare – ha affermato in sostanza la Corte – in prima battuta il salvataggio della Tercas da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Un errore dal quale discese il mancato intervento del Fondo per Carife, Banca Marche, CariChieti ed Etruria, determinando massicce perdite economiche per azionisti e obbligazionisti e avvitando il nostro Paese in una crisi di sistema gravissima. A commettere l’errore fu l’Antitrust Ue, guidato allora e ora dalla potente commissaria MargretheVestager, pupilla di Angela Merkel e “donna forte” dell’esecutivo presieduto dalla disastrosa Ursula von derLeyen. Persone da cui l’Italia non ha ricevuto scuse e men che meno riceverà risarcimenti. Troppo alti, del resto, dovrebbero essere.

Queste due notizie arrivano insieme a indagini sulla perdita di ricchezza del nostro Paese da quando è cominciata l’era dell’euro. Secondo la ricerca “Vent’anni di euro: vincitori e perdenti” del pensatoio tedesco Cep, che studia la politica economica comunitaria, il nostro è il Paese che ha perso di più dall’entrata in vigore dell’euro: 4325 miliardi in due decenni tondi, 73mila euro a testa. “Ma quanti ne avrà guadagnati indirettamente?”, potrebbe rispondere un euro-entusiasta all’euro-scettico o, meglio, all’euro-ragionevole, come chi scrive. Non si sa. Ma siamo ancora in attesa di ricerche simili, perché di solito, più che ai numeri, le reazioni guardano alla sociologia e all’ineluttabilità della scelta europea. Un dato è certo. Da quando l’Istat studia la povertà in Italia il suo livello non è mai stato tanto alto. Ora, però, a risolvere tutti problemi, economici perché in sanità non si può tornare indietro, arriva il Recovery Fund. Ma per l’Italia rappresenta davvero la panacea di tutti i mali, come racconta l’informazione mainstream? Lo spazio è tiranno ma cerchiamo in poche righe di sunteggiare. Questo fondo è in parte un prestito (e non ci pare che abbiamo bisogno di incrementare ulteriormente il nostro debito) e in parte versamento a fondo perduto. Il prestito sono solo quattro Paesi ad averlo chiesto (il nostro compreso) e già questo la dice lunga sulla sua convenienza. Quanto al fondo perduto da 84,1 miliardi, più interessante, va commisurato ai progetti che saremo in grado di portare a compimento in pochi anni, considerate le inadempienze nazionali sui fondi europei ordinari. Altrimenti i soldi andranno restituiti. L’Italia, inoltre, è da anni contribuente netto verso l’Ue (dà più di quanto riceva, insomma) e quindi sapere bene come sarà finanziato il Recovery Fund per il nostro Paese non è neutro: potrebbe rischiare di trovarsi a pagare ancora di più. Con la conseguenza che questi presunti regali si trasformino in una polpetta avvelenata per i nostri conti (pubblici e privati) e per la nostra libertà.