Home ORE12 Economia ANIDRIDE CARBONICA, PER IMPRIGIONARLA ARRIVA LA RICETTA SVIZZERA

ANIDRIDE CARBONICA, PER IMPRIGIONARLA ARRIVA LA RICETTA SVIZZERA

In islanda l’azienda elvetica climeworks ha inaugurato il maggiore impianto al mondo per sequiestrare e bloccare il co2 e combattere l’inquinamento atmosferico

di Luigi Jorio

E se, dopo decenni di costante aumento, le emissioni globali di gas a effetto serra cominciassero finalmente a diminuire? È quanto si augura l’azienda elvetica Climeworks, leader mondiale nella tecnologia di rimozione del CO2 dall’atmosfera che, dopo aver messo in funzione il primo impianto industriale per la cattura e lo sfruttamento dell’anidride carbonica nel 2017, segna ora una nuova tappa sulla via verso la neutralità climatica. L’8 settembre scorso ha inaugurato Orca, il più grande impianto del mondo in grado di filtrare il CO2 dall’atmosfera e di immagazzinarlo in maniera definitiva nel sottosuolo. Situato nei pressi della centrale geotermica di Hellisheidi, in Islanda, potrà filtrare fino a 4’000 tonnellate di CO2 all’anno, l’equivalente di quanto emettono circa 600 persone in Europa.

Come funziona?

L’anidride carbonica è separata dall’aria tramite uno speciale filtro concepito da Climeworks. Seguendo un processo sviluppato dall’islandese Carbfix, il gas viene poi mischiato con acqua e pompato negli strati di roccia basaltica a una profondità tra gli 800 e i 2’000 metri, dove dovrebbe rimanere per milioni di anni.”La combinazione di pressione, umidità e minerali trasforma il CO2 in roccia. Non facciamo altro che accelerare il naturale processo di mineralizzazione“, spiega Christoph Beuttler, responsabile della politica climatica di Climeworks. Secondo l’amministratrice delegata di Carbfix, Edda Aradottir, in due anni il 95% dell’anidride carbonica si trasforma in pietra.La probabilità di una fuga improvvisa e incrollata di gas dal sottosuolo è pari a zero, sostiene Beuttler: “Una volta nella roccia, nulla può liberare nuovamente il CO2 nell’aria, nemmeno un terremoto o un’eruzione vulcanica“.

La scelta dell’Islanda non è casuale. Oltre alle condizioni geologiche favorevoli, il Paese è all’avanguardia nello sfruttamento dell’energia geotermica. L’utilizzo di fonti rinnovabili è un prerequisito indispensabile per gli impianti come Orca, che – ovviamente – hanno senso solo se generano meno gas serra di quelli che rimuovono dall’atmosfera.”Il riscaldamento climatico è un problema globale e quindi non conta dove viene rimosso il CO2. Per evitare i costi di trasporto, sarebbe però giudizioso filtrare l’anidride carbonica laddove viene immagazzinata in maniera definitiva. E di posti del genere, non ce ne sono molti sulla Terra“, osserva Beuttler. Nel mondo sono attivi 15 impianti DAC e insieme possono catturare oltre 9’000 tonnellate di CO2 all’anno, stando a un rapporto del 2020 dell’ Agenzia internazionale dell’energia. Nel 2022, l’azienda candese Carbon Engineering dovrebbe costruire negli Stati Uniti il più grande impianto del mondo: avrà la capacità di trattare un milione di tonnellate di CO2 all’anno.

Una “massiccia operazione di pulizia”

Al momento della sua creazione nel 2009, Climeworks si era impegnata a catturare l’1% delle emissioni globali entro il 2025. Anche se l’obiettivo non verrà raggiunto, le tecnologie a emissioni negative sono destinate ad assumere sempre più importanza. Il Gruppo intergovernativo di esperte ed esperti di clima delle Nazioni Unite (IPCC) ritiene che saranno irrinunciabili se si vorrà limitare il riscaldamento climatico a 1,5°C. Le emissioni calano troppo lentamente ed è necessario rimuovere del CO2 dall’atmosfera, sottolinea Holly Jean Buck dell’Università di Buffalo, autrice di un libro sull’ingegneria climatica. “Questo secolo dovremo intraprendere una massiccia operazione di pulizia”, afferma a The Guardian. Da sola, l’Islanda potrebbe immagazzinare nel sottosuolo tutto il CO2 che sarebbe necessario rimuovere per raggiungere l’obiettivo climatico internazionale, secondo Beuttler. “L’Islanda è in grado di stoccare tramite la mineralizzazione 1.200 miliardi di tonnellate di CO2 [circa 30 volte la quantità di emissioni prodotta ogni anno nel mondo, ndr]. Siamo ben oltre la cifra suggerita dall’IPCC“, afferma.

Una soluzione controversa

La soluzione proposta da Climeworks, in cui ha investito anche il gigante americano Microsoft, è però controversa e solleva alcuni interrogativi. Pur riconoscendo la necessità di ricorrere a queste tecnologie, Martine Rebetez, professoressa di climatologia all’Università di Neuchâtel, sottolinea che si sono ancora delle incognite legate alla sicurezza, al bilancio di carbonio e ai costi. “Al momento, la cosa più a buon mercato e più urgente è cessare di emettere del CO2“, afferma al portale watson.ch. “Chiunque pensi che possiamo continuare a ridurre le emissioni di CO2 lentamente e sperare in una soluzione tecnica si sbaglia“, concorda Sonia Seneviratneclimatologa al Politecnico federale di Zurigo.

Più costoso non fare nulla

Beuttler non ha dubbi sulla necessità di misure a riduzione delle emissioni: “È la cosa più importante per contrastare il cambiamento climatico“. Tuttavia, aggiunge, a un certo punto la mitigazione non sarà possibile o diventerà talmente costosa, ad esempio nell’aviazione, che sarà necessario rimuovere i gas serra dall’atmosfera. Al momento, ci vogliono circa 600 dollari per filtrare e stoccare una tonnellata di CO2, ma in futuro si potrebbe scendere a 200 dollari, prevede Beuttler. “Piantare alberi è senza dubbio una soluzione più a buon mercato. Ma ci vorrebbero tre pianeti Terra per rimuovere il CO2 solo con le foreste“, precisa.

Il costo dell’inazione, anche considerando i danni causati dai disastri naturali, sarebbe ad ogni modo superiore “Al di là dei costi – conclude Beuttler – le tecnologie di emissioni negative sono anche un’opportunità: diventeranno una delle industrie più grandi, con la creazione di numerosi posti di lavoro. Un settore in cui la Svizzera, oggi tra i Paesi leader, ha tutti gli interessi a rimanere all’avanguardia“. (swissinfo.ch)