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L’ITALIA, MODELLO PER LA SCLEROSI MULTIPLA

di Danilo Quinto

Una patologia dall’eziologia ancora sconosciuta, ma l’Italia è l’unico Paese al mondo ad aver individuato centri specifici per i pazienti affetti da sclerosi multipla

Il prof. Claudio Gasperini è specialista in Neurologia, Dirigente Medico I Livello presso il Dipartimento di Neuroscienze Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma. Docente presso la I Facoltà della Scuola di Specializzazione in Neurologia dell’Ospedale Policlinico Umberto I di Roma Università “Sapienza” di Roma. Membro di una Task Force Europea per progetto Comunità Europea sulla ottimizzazione dell’uso della RMN nella Sclerosi Multipla dal 2009 e del Consiglio Direttivo Nazionale della Società dei Neurologi Ospedalieri (SNO). Autore di oltre 150 pubblicazioni di cui 105 pubblicate su riviste straniere con elevato impact factor.

Svolge attività professionale come neurologo presso UPMC Salvator Mundi International Hospital. È membro del comitato direttivo del MAGNIMS (Magnetic Resonance Imaging in MS), una rete europea di accademici che condividono un interesse comune nello studio della Sclerosi Multipla utilizzando la risonanza magnetica. Dal 2008 è coordinatore di una accademia di giovani ricercatori italiani provenienti da centri sclerosi multipla clinici universitari e ospedalieri (RIREMS). Negli ultimI ha attivamente partecipato alla stesura del Percorso DiagnosticoAssistenziale (PDTA) per la sclerosi Multipla della regione Lazio approvato con decreto regionale nel 2014.

Claudio Gasperini

Può descrivere che cos’è la sclerosi multipla?

È una patologia che ha un meccanismo eziopatogenico di tipo autoimmunitario. Non conosciamo l’eziologia e quindi si ipotizza una causa della sclerosi multipla legata a più fattori: virali, ambientali, ma anche una predisposizione genetica. Si caratterizza, dal punto di vista patogenico, con la formazione di anticorpi che possono attaccare il rivestimento del nervo – la guaina mielinica – e successivamente i fili di rame del nostro “filo elettrico”. Quindi, questo meccanismo patogenico determina un danno tessituale che interrompe la comunicazione fra più parti del sistema nervoso centrale. Si produce, così, una sintomatologia neurologica che dipenderà dal punto in cui è avvenuto il danno.

Quali sono i disturbi più frequenti?

La neurite ottica, per il coinvolgimento del nervo ottico, disturbi di forza, difficoltà a deambulare, di equilibrio o di sensibilità.

Come viene diagnosticata?

È una patologia del giovane adulto. Coinvolge un range di età che va dai bambini fino a persone di 60-65 anni, ma il picco è tra i 25 e i 35 anni. In Italia abbiamo circa 130.000 casi: il nostro paese è un’area ad alta incidenza e prevalenza.

C’è una spiegazione?

Non vi è una spiegazione assoluta. È una zona ad alta prevalenza molto simile a quella europea. Vi sono alcune aree in cui l’incidenza è molto elevata, in particolare la Sicilia e la Sardegna, dove probabilmente l’aspetto genetico gioca un ruolo importante.

Rispetto alla diagnosi, come giudica il ruolo che svolge la medicina territoriale?

L’Italia è un modello per la sclerosi multipla, invidiato in tutto il mondo, perché il Ministero, dal 1996, con l’introduzione delle prime terapie, ha individuato dei Centri specifici per la diagnosi ed il trattamento, cosa che non esiste in nessun’altra parte del mondo. I Centri, insieme all’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, hanno fatto un lavoro straordinario di educazione e formazione, non soltanto all’interno delle strutture ospedaliere, ma anche sul territorio ai medici di base. Per cui, c’è una grande sensibilizzazione: anche i medici del territorio, ai primi sintomi neurologici, soprattutto in giovani pazienti, tendono ad inviarli ai Centri specialistici per avviare l’iter diagnostico. Tant’è vero che oggi, poiché sono cambiati i termini della diagnosi, è possibile farla in tempi precocissimi, utilizzando la risonanza magnetica. Nel mese di gennaio 2022 è stato pubblicato un nuovo lavoro che dimostra come l’utilizzazione dei criteri diagnostici che vengono usati dal 2018, permette di fare una diagnosi entro tre mesi dall’esordio della sintomatologia. Questo è molto importante, perché la possibilità di fare una diagnosi precoce permette di iniziare un trattamento precoce, che è sicuramente più efficace e consente di cambiare la storia naturale della malattia.

Come si attua la diagnosi?

Avviene attraverso la fissazione di un criterio, che è quello della disseminazione spaziale e temporale. Prima dell’avvento della risonanza magnetica, il paziente doveva avere due sintomi diversi fra di loro, distanti nel tempo. Dopo aver escluso altre patologie, si poteva quindi fare la diagnosi di sclerosi multipla, in quanto erano soddisfatti i due criteri: due aree diverse del sistema nervoso centrale coinvolte in tempi diversi. Questo, però, poteva emergere anche dopo anni, perché un paziente poteva avere un disturbo in un certo tempo della sua vita e un altro disturbo dopo molto tempo. Con l’avvento della risonanza magnetica, i due criteri possono essere soddisfatti sin dall’esordio. Se il paziente ha più lesioni in diverse parti del sistema nervoso centrale e, tra queste, alcune sono vecchie ed altre nuove – perché si ha l’evidenza di attività di malattia – questo consente di valutare positivamente la presenza della malattia. Da questo momento inizia il percorso terapeutico.

In che cosa consiste il percorso terapeutico?

Nell’utilizzazione di farmaci che vanno ad agire sui meccanismi patogenetici della malattia, non avendo conoscenza dell’eziologia. Quindi, sono farmaci immuno-modulanti o farmaci immuno-soppressori. Dal 1996, vengono utilizzati farmaci immuno-modulanti, in particolare l’interferone e più recentemente terapie orali, che ci permettono di modulare il sistema infiammatorio, di ridurre la produzione di citochine infiammatorie che attaccano il sistema nervoso centrale e quindi di ridurre, in maniera significativa, la comparsa di ricadute cliniche o di nuove lesioni alla risonanza magnetica. Più recentemente, sono stati introdotti farmaci immuno-soppressori, molti dei quali sono gli anticorpi monoclonali: sono farmaci ad alta efficacia, con un rischio relativamente maggiore, che vengono utilizzati in quei pazienti che o all’esordio hanno una presenza di fattori prognostici sfavorevoli, che determinano un alto rischio di accumulare disabilità in un periodo relativamente breve oppure in quei pazienti, che pur facendo terapie di prima linea, continuano ad avere segni della malattia in termini clinici e di risonanza magnetica. In questo caso, passiamo a farmaci ad alta efficacia.

Quali sono le ripercussioni sulla vita del paziente?

 La malattia ha un impatto sicuramente negativo. I pazienti sono per la maggior parte giovani e può emergere la possibilità di una disabilità importante, con disturbi della deambulazione e quindi è una malattia che impatta psicologicamente sul paziente, in quanto, in un momento di grande progettualità del giovane, arriva questa terribile notizia, che può azzerare i suoi sogni. Il paziente cade in una situazione di grande fragilità. Questo quadro, negli ultimi tempi, è cambiato. Lo dimostrano studi recenti, anche italiani, che documentano a questo fine l’efficacia della diagnosi fatta dopo il 2011, con i criteri di diagnosi di cui le parlavo. Se prima l’80% dei pazienti aveva difficoltà a camminare ed il 20% no, ora – con la nuova modalità di diagnosi – questa percentuale è completamente cambiata, invertita direi: l‘80% dei pazienti ha una buona qualità di vita, il 20% è rappresentato da quei pazienti che non rispondono alle terapie per motivi specifici, probabilmente anche genetici.

La malattia impatta anche nei confronti dei familiari?

Sicuramente, soprattutto rispetto a quei pazienti che hanno più disabilità e che hanno incapacità e impossibilità a svolgere le comuni attività della vita quotidiana. Ma il messaggio che voglio lanciare vuole essere positivo: la scienza, in questi ultimi 15-20 anni, ha accumulato veramente tante conoscenze su questa malattia ed ha permesso l’identificazione di terapie che, se utilizzate nella maniera corretta, permettono ai pazienti di svolgere una vita relativamente normale.

Com’è nata la sua specializzazione?

È nata tantissimi anni fa. Ero nella Scuola di Specializzazione della Sapienza. Il prof. Fieschi, che era il mio docente, aveva fondato il primo Centro sulla Sclerosi Multipla a Roma. Seguivamo i pazienti negli ambulatori della Sapienza. Non avevano terapia e gli ambulatori erano molto tristi, se vuole, perché potevamo usare davvero poche armi per affrontare la malattia. Decise di mandarmi a fare un’esperienza all’estero e andai in Inghilterra, all’Institute of Neurology (UCL) di Londra, diretto dal Professor Ian McDonald, che poi è colui che ha fatto i nuovi criteri di diagnosi e al mio ritorno s’inizio a parlare delle prime terapie con l’interferone. Facemmo il primo trials europeo e dimostrammo come l’interferone poteva impattare in maniera molto positiva su questi pazienti. Da allora, è nata questa mia attività specifica di ricerca sulla sclerosi multipla, che ha continuato prima alla Sapienza e poi al San Camillo-Forlanini, dove ora sono primario e dove esiste il Centro sulla Sclerosi Multipla forse più grande di Roma.