Home Costume e Società Dai primitivi a Filippo Lippi: il nuovo allestimento di Palazzo Barberini

Dai primitivi a Filippo Lippi: il nuovo allestimento di Palazzo Barberini

Da venerdì 29 aprile 2022 le Gallerie Nazionali di Arte Antica riaprono le porte delle sale dedicate ai Primitivi, al piano terra di Palazzo Barberini, completamente rinnovate e riallestite

“Il progetto di riallestimento della collezione e di riorganizzazione degli spazi e dei percorsi del palazzo è stato al centro del lavoro di questi anni, e da questo nucleo si è dipanato tutto il lavoro di ripensamento delle Gallerie Nazionali. Il risultato è un’ enorme soddisfazione per tutti noi”, dichiara Flaminia Gennari Santori, che sottolinea: “abbiamo inventato un museo che non c’era, un luogo dove il nostro pubblico riflette e continua a tornare perché sa che troverà sempre spunti nuovi”.

Le 50 opere del piano terra sono disposte secondo un ordine che intreccia e presenta al pubblico diversi livelli di lettura: attraverso una serie di “stanze” dedicate a momenti tematici e approfondimenti monografici vengono messi in risalto nessi e rimandi tra le opere di ordine morfologico, tematico, tipologico, semantico, iconografico e contestuale. I pannelli di sala e gli apparati didattici illustrano le decorazioni e gli elementi architettonici di quello che in origine era l’appartamento del principe Taddeo Barberini, fornendo al visitatore un valido sussidio al percorso espositivo. 

Nelle sale dedicate alla pittura più antica (n. 2-3), a destra della Sala Orientamento, saranno esposte le opere con una datazione compresa tra la fine dell’XI e la prima metà del XIV secolo, allestite in modo da evidenziarne anche la diversa destinazione funzionale, l’uso nel contesto d’origine e le peculiarità materiali e formali, oltre che simboliche, che questi comportavano.

La Sala n. 2 è dedicata alla tavola della Madonna Advocata risalente alla fine del XII secolo – l’opera più antica conservata al museo – proveniente da Santa Maria in Campo Marzio e al tipo caratteristico della croce dipinta italiana, con quattro esempi databili tra 1200 e 1260 circa, compresa la croce di proprietà Jacorossi, attribuita alla cerchia di Alberto Sotio (attivo a Spoleto nel XII secolo) restaurata in occasione del nuovo allestimento. Si tratta di opere strutturalmente simili, ma che proprio per questo consentono di apprezzare meglio soluzioni iconografiche diverse, dall’immagine ieratica del Christus Triumphans a quella più umanamente simpatetica del Christus Patiens.

Nella Sala n. 3, i dipinti, in prevalenza fondi oro di area toscana tra Due e Trecento, sono raggruppati in un nucleo che richiama la loro funzione devozionale, il rapporto con i prototipi bizantini, e la persistenza delle configurazioni formali, con declinazioni iconografiche variabili, evidenti in particolare nella serie molto omogenea delle Madonne con Bambino di scuola senese, da Segna di Bonaventura (Siena, documentato dal 1298 al 1331) al Maestro di Palazzo Venezia (attivo dal 1320 al 1370). Nella sala sono esposti anche due cofanetti in avorio scolpito della bottega degli Embriachi (attiva a Venezia, XIV secolo), provenienti dai depositi del MAI (Museo Artistico Industriale)

La Sala successiva (n. 4) segna invece la transizione dalla fase del tardo Gotico all’affermarsi di nuovi sviluppi in area nordica e fiamminga. Da una parte, la sofisticata eleganza e le inflessioni iperdecorative delle tavolette dei veneti Niccolò di Pietro (attivo a Venezia, XIV secolo) e Michele Giambono (Venezia, 1420 ca. – 1462 ca.) e, dall’altra, i saggi della pittura provenzale e fiamminga del XV secolo, dove alle esigenze narrative, al gusto calligrafico e alla ricerca espressiva si affianca un nuovo senso della rappresentazione dello spazio e della luce. In particolare, la Madonna addolorata di Jean Changenet (attivo in Provenza tra il 1486 e il 1493), di recente attribuzione, e la tavola con gli Ex-voto di Josse Lieferinxe (attivo in Provenza dal 1493 al 1503/08) mostrano bene questo intreccio di motivi. Il piccolo dipinto di Lieferinxe, con la sua nitida costruzione prospettica, anticipa e introduce le sale successive dedicate alla pittura del primo Umanesimo, sottolineando i reciproci e fecondi rapporti tra ambiente fiammingo e spazio italiano.

Il percorso sul lato orientale del piano termina nella Sala delle Colonne (Sala 5), cosiddetta per la presenza delle due grandi colonne di granito che furono fatte collocare quando la stanza venne ristrutturata per volere del Cardinal Francesco Barberini e nuovamente decorata dal pittore maltese Michelangelo Marulli.

Alla pittura italiana tra XV e XVI secolo sono destinate le Sale 6-10 a sinistra della sala di orientamento. Si comincia con le due importanti tavole di Filippo Lippi (Firenze 1406 – Spoleto 1469), la Madonna di Tarquinia e la cosiddetta Annunciazione Hertz, che segnano ormai l’adozione da parte dei pittori toscani del Quattrocento di quegli elementi linguistici fondativi della nuova maniera: lo spazio prospettico, il recupero dell’antico, il naturalismo. Tratti che sono qui ulteriormente evidenziati nel paragone con opere di altri maestri, ancora legate a forme e stilemi che si usa qualificare “attardati”, come nel caso della Madonna col Bambino del fiorentino Neri di Bicci (Firenze, 1419 – 1492), che muore all’alba simbolica di una nuova epoca, nel 1492.

Nella Sala 6 sarà esposto fino alla fine di ottobre in via del tutto eccezionale il Trittico (Ascensione, Giudizio Universale, Pentecoste) di Beato Angelico (Vicchio 1395 – Roma 1455), la tavola datata 1447-1448 conservata di solito alla Galleria Corsini.

La Sala 7 mette in mostra la pittura centroitaliana del primo Rinascimento, attraverso il significativo nucleo di opere di Antoniazzo Romano (Roma, attivo dal 1461 al 1508), qui a confronto con Lorenzo da Viterbo (Viterbo, 1473 cs. – 1472) e due dipinti del Perugino (Città della Pieve, 1450 ca. – Fontignano, 1523). A rimarcare il passaggio alla stanza seguente, la singolare tela San Sebastiano e santa Caterina, forse una portella d’organo, di un pittore insieme eccentrico e linguisticamente “composito”, identificato in Francesco Pagano (XV secolo) o nel siciliano Riccardo Quartararo (Sciacca, 1443 – Palermo, 1506 ca.), espressione di quell’idioma iberico-fiammingo che trovò spazio nella Napoli aragonese, arricchito però da un’esperienza romana, forse vicino allo stesso Antoniazzo.

Nella Sala 8 è esposta, da sola, La visione del beato Amedeo Menez de Sylva di Pedro Fernandez (Murcia, Spagna, attivo tra la fine del XV e il primo quarto del XVI secolo), che chiude simbolicamente il percorso del piano terra e annuncia gli sviluppi delle sale del piano nobile, con i precisi rimandi di questa monumentale tavola ai maestri del cosiddetto “Alto Rinascimento”, da Leonardo a Bramante a Raffaello.

Infine, le Sale 10 e 11 illustrano in parallelo, concettualmente e letteralmente, gli esiti della produzione artistica tra Quattro e Cinquecento sul versante adriatico della pittura italiana, dalle Marche a Venezia, con opere di Pietro Alemanno (nato a Göttweig, Austria; attivo nelle Marche tra anni Ottanta e Novanta del XV secolo), Lorenzo d’Alessandro (San Severino Marche 1445 ca. – 1501), Niccolò Alunno (Foligno, attivo al 1450 al 1502), Marco Palmezzano (Forlì, 1459 – 1539) e di alcuni seguaci di Giovanni Bellini.

La Sala 9 sarà destinata alle mostre focus, dedicate ad approfondimenti su singole opere, piccoli gruppi di opere o temi specifici.