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NUCLEARE, RUBBIA COLPISCE ANCORA

La società svizzera Transmutex sta sviluppando un nuovo reattore che utilizza il torio e non l’uranio. Senza generare scorie radioattive. Una intuizione del Nobel italiano

di Luigi Jorio

“Quando un premio Nobel ti chiede di lavorare con lui, è difficile dire di no”, afferma il fisico nucleare italiano Federico Carminati. Il fisico nucleare ricorda perfettamente la chiamata di Carlo Rubbia, allora direttore dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (Cern), con sede a Ginevra. “Era il 1990 ed io ero un giovane collaboratore del Cern. Rubbia mi chiese di partecipare allo sviluppo di un nuovo tipo di reattore nucleare”, racconta Carminati.

Attorno al progetto c’è molta euforia, ma l’idea di un reattore al torio combinato con un acceleratore di particelle finisce in un cassetto. L’industria nucleare è poco interessata alle novità e il problema delle scorie radioattive e del loro stoccaggio non è così impellente. Perché investire in un nuovo concetto dopo aver già fatto fluire somme colossali nello sviluppo del nucleare all’uranio?

Una trentina d’anni più tardi, i tempi sono cambiati. Per Carminati è il momento di rispolverare il progetto di Rubbia. Nel 2019 fonda Transmutex  assieme all’imprenditore francese Franklin Servan-Schreiber (figlio del famoso giornalista, scrittore e politico francese Jean-Jacques, ndr). Il loro obiettivo: “reinventare” l’energia nucleare partendo dai suoi principi.

il Fisico Nucleare Federico Carminati

Torio al posto dell’uranio

Le centrali atomiche producono elettricità sfruttando il calore generato da reazioni nucleari. In un reattore classico, gli atomi del materiale combustibile – in genere uranio o plutonio – collidono con dei neutroni. Gli atomi si dividono (processo di fissione) sprigionando energia e liberando altri neutroni, ciò che dà origine a una reazione a catena. Il calore generato dalla fissione è utilizzato per produrre vapore e infine elettricità.

Una centrale atomica produce elettricità in modo continuo e in grandi quantità senza emettere gas a effetto serra. Genera tuttavia scorie radioattive.

La soluzione di Transmutex è di impiegare il torio invece dell’uranio e di utilizzare un acceleratore di particelle. Il torio è un metallo debolmente radioattivo presente in abbondanza di quasi tutta la crosta terrestre. “È molto più democratico dell’uranio”, afferma Carminati. La maggior parte dell’uranio utilizzato come combustibile nucleare è estratto da miniere in Kazakistan, Australia e Canada.

Il torio viene fissionato all’interno di un reattore mantenuto in uno stato sub-critico e alimentato in neutroni tramite un acceleratore di particelle. Questo significa che, contrariamente a quelli convenzionali, l’impianto è incapace di sostenere una reazione a catena: una volta interrotto il flusso di neutroni il reattore si spegne immediatamente. Tale particolarità avrebbe evitato l’incidente avvenuto a Chernobyl nel 1986.

Meno scorie

I vantaggi di un reattore al torio con acceleratore di particelle sono molteplici, secondo Carminati. I tempi di decadimento radioattivo dei sottoprodotti del torio sono molto più brevi rispetto a quelli di una centrale a uranio e la quantità di residui pericolosi sarebbe notevolmente ridotta. “Parliamo di qualche chilogrammo invece di tonnellate”, dice il fisico nucleare.

Il ciclo del torio avrebbe poi il pregio di impedire la proliferazione nucleare. “I sottoprodotti della fissione del torio non possono essere utilizzati per fabbricare una bomba atomica”, afferma Carminati.

Ma non è tutto. Un reattore al torio potrebbe anche essere alimentato con le scorie delle centrali nucleari esistenti. Il flusso di particelle ultraveloci consente infatti di bruciare le scorie producendo energia. Inoltre, in quella che nel linguaggio tecnico viene chiamata “trasmutazione” (da cui il nome della start-up Transmutex), anche una parte dei rifiuti radioattivi a vita corta potrebbe essere trasformata in elementi stabili. “Questa possibilità permette di risolvere il problema dell’accumulo e dello stoccaggio di rifiuti altamente radioattivi”, sostiene Carminati.

Transmutex vuole sfruttare le tecnologie sviluppate in Svizzera e all’estero. Assieme all’Istituto Paul Scherrer, principale centro di ricerca per le scienze naturali e ingegneristiche in Svizzera, intende realizzare un acceleratore di particelle più potente di quelli usati attualmente nel trattamento dei tumori. La start-up ha anche avviato collaborazioni con partner internazionali. 

“Disponiamo di tutti gli elementi essenziali per realizzare un nuovo tipo di reattore: ora non rimane che assembrarli”, afferma Carminati. L’obiettivo di Transmutex è di realizzare un prototipo dimostrativo entro i primi anni del 2030.

Rinascita” del nucleare

I tempi sembrano maturi per un’energia nucleare di nuova generazione. La necessità di ridurre le emissioni di CO2 e i timori di interruzioni prolungate di corrente stanno riportando in auge un’opzione che Fukushima sembrava aver sepolto. Attualmente, le circa 440 centrali nucleari in attività nel mondo generano intorno al 10% dell’elettricità consumata globalmente.

In diversi Paesi si sta lavorando sulla realizzazione di reattori nucleari più compatti, più semplici, più sicuri e meno costosi. Il presidente statunitense Joe Biden ha stanziato 2,5 miliardi di dollari per la ricerca e la dimostrazione industriale dei reattori avanzati, mentre TerraPower, azienda fondata da Bill Gates, è pronta a costruire la prima di centinaia di mini-centrali nucleari al sodio. In Cina entrerà presto in funzione il primo reattore nucleare al torio, che utilizza però una tecnologia diversa rispetto a quella di Transmutex. E la “rinascita” del nucleare è in atto anche sul continente europeo. L’opposizione non manca, però, tutt’altro.

Ma Federico Carminati di Transmutex rimane ottimista. “Alcuni affermano che il nostro progetto è ambizioso e complesso. Ma nessuno ci ha detto il motivo per cui non dovrebbe funzionare”.

Finora, Transmutex ha raccolto fondi per otto milioni di franchi svizzeri, tra cui cinque ottenuti da investitori privati statunitensi. La start-up stima a circa 1,5 miliardi di franchi il costo del reattore pilota. “È un progetto importante e se avremo successo… faremo fortuna”, scherza Carminati. “Se invece non andrà in porto, avrò perlomeno tentato di fare qualcosa di cui essere fiero”.

(swissinfo.ch)