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COMUNICAZIONE INTERPRETATA

“Italia comunicante”, opera di Angelo Baiocchi, e’ un libro chiaro, non dimentico di nulla, quale un manuale, ma avvincente e ritmato come se fosse un romanzo breve

di Stefano Lucchini

Chi lo conosce sa che Angelo Baiocchi tiene più al fatto di aver doppiato una decina d’anni fa Capo Horn in barca a vela che a tutti i traguardi professionali che ha raggiunto come docente universitario, prima di Storia delle Dottrine politiche poi di Marketing e di Advertising, come autore e regista televisivo, comunicatore privato e pubblico, dirigente d’azienda, giornalista e qualche altra cosa. Ma ora può essere anche orgoglioso d’aver scritto un libro (da cui è tratto questo testo, che ne è la prefazione, ndd) sulla comunicazione capace di comunicare. Vale a dire un libro chiaro, non dimentico di nulla come un manuale e persino avvincente e ritmato come un romanzo breve. Un libro di quelli che ti tengono inchiodato sino alla fine e poi ti lasciano quasi con la voglia di ricominciare da capo e con una serie di domande che ti si affollano in testa, per cui vai subito a cercare le risposte, che nelle pagine svelte del libro ci sono, tutte, ma magari le avevi bypassate seguendo la trama.

Per ottenere questo non scontato effetto, soprattutto da parte di chi di queste cose si occupa, il nostro eclettico autore pesca dalle sue molteplici esperienze professionali e va alla sostanza, sempre con quell’atteggiamento di disincanto critico che può avere chi ha visto cose che noi umani questa volta possiamo immaginare. Ad esempio, è scettico sulla distinzione tra giornalismo e comunicazione che, sì, sono due cose differenti, ma alla fine concorrono da posizioni diverse allo stesso obiettivo che è vendere: una storia, una visione o un’interpretazione delle cose, un prodotto, un politico, un’azienda, un personaggio, un’istituzione pubblica, un ente locale, un sindaco. E così via, nel filo della memoria del vissuto e delle lezioni future da preparare per i suoi studenti.

Angelo Baiocchi

Più che dei tanti successi professionali, l’autore è orgoglioso di aver doppiato il Capo Horn in barca a vela

Ma, e qui sta la forza di un pensiero che non sa e non vuole adattarsi al mainstream, Baiocchi va spesso e volentieri controvento, e in barca a vela è difficile e anche pericoloso. Cito due temi per tutti: la responsabilità sociale dell’impresa e le logiche dei talk show televisivi. Ecco cosa scrive sul primo: “Le imprese comunicano il loro impegno per diminuire la produzione di plastica, arrivare alle auto elettriche, ridurre il consumo di combustibili fossili, sostenere la cultura e la costruzione di ospedali, dialogare con gli stakeholders. Mi domando però, forse facendomi prendere troppo dalle impressioni che mi dà l’Italia, se nell’epoca del precariato come forma ormai dominante di rapporto di lavoro, delle delocalizzazioni, della chiusura di sedi produttive che fanno utili ma non quanti se ne potrebbero fare altrove; nell’epoca della riduzione del costo del lavoro come primo dovere dei manager, dei tagli alle spese sociali come prima forma tutela dalle oscillazioni dei mercati; nell’epoca delle disuguaglianze che stanno assumendo aspetti patologici e forse pericolosi, degli algoritmi che vengono lasciati decidere su chi resta e su chi deve andarsene, mi domando se in un’epoca di questo genere il mantra comunicativo della responsabilità sociale dell’impresa non sia alle volte stonato. Se ne potrebbe trarre l’impressione che la responsabilità sociale stia bene su tutto meno che sul lavoro”.

Ecco, è un tema profondo soprattutto per due motivi: essere tutti responsabili, e magari sostenibili, vuol dire che nessuno lo è? Vuol dire annullare le differenze come sotto la neve, con il rischio di ritrovarsi scoperti quando il sole o la pioggia la spazzano via? Vuol dire chiedersi se davvero sia un fattore competitivo essere sostenibili, oppure sia un atto dovuto per mettersi in pari con chi lo è o dice di esserlo? Se poi pensiamo che Baiocchi ha scritto queste cose prima della guerra in Europa, allora dobbiamo riconoscergli di aver visto lungo. Ma non perché oggi non sia necessario essere ancora più sostenibili, e magari responsabili, di prima ma perché sono totalmente cambiati i fondamentali nelle gerarchie dell’Europa da una parte e delle persone responsabili dall’altra: sono più importanti gli obiettivi (molto o troppo ambiziosi) del Green Deal o l’approvvigionamento energetico per il prossimo inverno? Sui talk show, che sono passati con lo stesso format dai dibattiti sulla pandemia a quelli sulla geopolitica e le strategie militari, Baiocchi dice cose tanto verosimili quanto amare: “I talk show di informazione cercano di seguire i canoni del teatro; non a caso utilizzano vere e proprie compagnie di giro preparate al copione, composte da giornalisti, opinionisti vari, politici e politicanti, cantanti e intrattenitori riciclati, professori vanitosi, che si spostano in piccole carovane da un programma all’altro. La struttura dello spettacolo è esattamente quella della gloriosa commedia dell’arte: c’è un canovaccio e ognuno degli ospiti interpreta la sua parte, che è una improvvisazione preconfezionata sul tema dato, e ognuno rispetta il più possibile il suo personaggio o maschera che dir si voglia. C’è chi fa Balanzone, chi Brighella, chi il Capitan Rodomonte, chi lo Zanni Frittellino, chi Rosaura, chi Colombina”.

“Italia comunicante. Pensieri molto liberi sul mondo della comunicazione” è firmato da Angelo Baiocchi, top manager in uno dei maggiori gruppi di comunicazione, Publicis groupe, oltre che docente di Advertising e Brand communication all’università “La Sapienza” di Roma. Pubblicato quest’anno da Fausto Lupetti editore, nella collana “Scienza della comunicazione”, l’opera è prefata da Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa San Paolo. Il testo si muove lungo due filoni principali: l’informazione da un lato e la comunicazione aziendale e di marketing dall’altro. Due facce della stessa medaglia, secondo Baiocchi, che conosce molto bene ambedue questi mondi (oltre che molti altri). In aggiunta ai due filoni principali due focus rispettivamente sulla comunicazione pubblico-istituzionale e sulle nuove prospettive della tecnologia nel futuro a breve e medio termine. Baiocchi spiega come il mondo della comunicazione sia sempre più centrale nelle dinamiche dell’Italia. E insieme come comunicare sia un mestiere onorevole, indispensabile alla democrazia e alla prosperità economica e come in Italia siano in tanti a esercitarlo con cura, rispetto della deontologia, professionalità e onestà intellettuale. Da manuale, quale pure è, “Italia comunicante. Pensieri molto liberi sul mondo della comunicazione” cerca di svelare anche quale sia la buona comunicazione e in tutta libertà le strade per raggiungerla, senza birignao, narcisismi e luoghi comuni da mainstream.

Basta pregiudizi: giornalismo e comunicazione concorrono allo stesso obiettivo

E, appunto, non importa l’argomento ma il format. Baiocchi è poi affascinato/inquietato dall’intelligenza artificiale e dalle sue applicazioni nell’inseguimento, dice anzi nel pedinamento continuo dei consumatori. Ma ci tiene a precisare che “resta sempre intatta per gli umani la libertà di utilizzare una delle più profondamente umane tra le capacità umane: la libertà di togliere, aggiungere, deviare, rischiare anche rispetto alle più esaustive serie storiche e alle più possenti capacità di calcolo che rendono così determinante il lavoro delle macchine e degli algoritmi. Non so onestamente se nel nuovo mondo in fieri l’esercizio di questa libertà sia ancora utile o no. Quello che mi pare di cogliere ogni giorno è che si tende a farne sempre meno uso”.

In generale, si tratta di una lettura molto utile sia per chi vuol capire di comunicazione sia per chi pensa di saperla lunga. E se più di mezzo secolo fa Jean Monnet diceva che “si sa sempre di più ma si capisce sempre di meno”, Italia Comunicante qualche risposta la fornisce. E quel che più conta, spesso Angelo Baiocchi la fornisce da cittadino appassionato oltre che da esperto di un settore che ci riguarda tutti, come attori più o meno convincenti o come soggetti passivi poco importa.