Home ORE12 Economia DEUTSCHE BANK E ALTRI GIGANTI DAI PIEDI D’ARGILLA

DEUTSCHE BANK E ALTRI GIGANTI DAI PIEDI D’ARGILLA

deutsche bank building

di Luca Lippi

La settimana è terminata in negativo per il comparto bancario. La volatilità spadroneggia soprattutto a causa di Deutsche Bank ma, la notizia non è la banca tedesca che manifesta debolezze, ormai croniche da un decennio, piuttosto tutto il comparto che non è più sostenuto dagli investitori. In estrema sintesi, la fiducia incrollabile nel settore è definitivamente tramontata. La banca tedesca ha perso oltre un quinto della sua capitalizzazione dall’inizio del mese di marzo.

La componente emotiva sulla crisi del comparto bancario

Dal momento del salvataggio di Credit Suisse da parte dell’antagonista UBS in “zona cesarini” e sulla scia di quanto accaduto con la Silicon Valley Bank, si è scatenata una diffusa preoccupazione per un contagio tra le diverse aziende del settore bancario e potenzialmente anche altri rami dell’economia. A questo dobbiamo aggiungere anche la preoccupazione per un inasprimento della politica monetaria, emerso nella giornata di mercoledì 22 marzo.

Più nello specifico, il terremoto di Deutsche Bank si è percepito dopo l’impennata improvvisa delle assicurazioni contro il suo default – i famosi CDS -, che confermano la preoccupazione emersa dal FSOC (Financial Stability Oversight Council) riunito in tutta fretta dalla Yellen per fare luce sulle turbolenze che affliggono il settore bancario negli Usa ma anche in tutto il resto del mondo.

Non ha perso l’occasione di dire la sua anche il Presidente della BCE (Christine Lagarde) che ha sottolineato a tutti i leader dell’area UE che il settore bancario sotto la sua giurisdizione è forte (Excusatio non petita…) ma di fatto cogliendo l’occasione per spingere su una unione bancaria dell’area UE.

In conclusione tutta una serie di consessi all’interno dei quali non emerge mai quanto la situazione sia grave, o semplicemente comprendere perché non lo sarebbe.

Quanto è grave la situazione

Intanto è corretto sottolineare che le reali sventure del settore saranno visibili il 14 aprile, da questa data inizieranno le trimestrali di alcune delle principali banche americane, e investitori e analisti non possono che aspettare con ansia le conference calls buttando l’occhio sui numeri di questo primo trimestre che include anche il mese di marzo.

Dopo l’8 marzo, da un articolo di FactSet, si leggono le performance negative dei principali players del settore statunitense che vanno da un -80% di First Republic Bank fino al -25% di East West Bancorp. Ma la parte più interessante dell’analisi di FactSet è nella sottolineatura che, rispetto al 2008, quando «Era comune per le autorità di regolamentazione predisporre l’acquisizione di una banca in fallimento, in modo tale che l’annuncio formale del fallimento includesse anche l’acquisizione. La rapida esplosione della crisi attuale, unita ai deflussi dei depositi (che rendono difficile per un acquirente conoscere cosa sta comprando) ha fatto sì che prima si ottenevano fallimenti, ma ora si sta iniziando a vedere acquisizioni di asset di banche fallite e depositi».

Il discostamento tra il fallimento e potenziale acquisizione

In estrema sintesi, il messaggio che emerge dall’articolo è che, in un contesto come quello attuale, dove tutto si evolve molto rapidamente, si sta verificando un discostamento tra il fallimento e la potenziale acquisizione, perché in sostanza anche le aziende che devono intervenire nelle acquisizioni si trovano in difficoltà a valutare ciò che stanno per comprare. Nello stesso articolo di FactSet si legge ancora che «In tempi di crisi, il limite del dieci per cento sui depositi nazionali non precluderà le acquisizioni da parte delle banche oltre il limite – la stabilità sistemica e la mitigazione delle perdite tenderanno ad avere la precedenza – ma la quota dei depositi nazionali è comunque un fattore che vale la pena tenere a mente, considerando il potenziale per un’accelerazione e consolidamento del settore».

Per essere più chiari, gli analisti di FactSet ci dicono che, in contesti come questi, dove la tensione è molto alta e i rischi concreti per il sistema, alcune regole potrebbero, rischiosamente, diventare flessibili per consentire di soffocare la spinta negativa. In pratica il settore starebbe avvitandosi in un circolo vizioso.

Attendiamo il 14 aprile

Dobbiamo ricordare che quando si è sparsa la notizia di Credit Suisse, in Europa si disse “a noi non può succedere”, fu proprio la Deutsche Bank a mettere le mani avanti, ma non è sfuggito il dato che al 2022 il CET1 di Deutsche Bank era 13, mentre quello di Credit Suisse era addirittura superiore di 0,5. Quindi era logico supporre che a seguire nella lista delle sventure fosse proprio la banca tedesca.

Chiunque si sia occupato del settore (analista o giornalista di settore) negli ultimi quindici anni sa che in Europa c’è un grande malato che è Deutsche Bank. Tutto il resto lo ha fatto la tesoreria della banca tedesca! Poteva anche non succedere nulla se la banca non avesse allarmato il Mercato chiedendo la restituzione anticipata di obbligazioni per 1,5 miliardi di Euro. Poiché nel salvataggio di Credit Suisse chi ha patito di più sono stati proprio un’ampia categoria di obbligazionisti, è naturale che il Mercato, assistendo a una richiesta anomala di Deutsche Bank, si sia allarmato.

E allora, la notizia rimane che quando avvengono situazioni di Mercato come queste, dove si verifica esattamente il contrario di quello che dicono i “regolatori”, nessuno si fida più. L’analisi più lucida è quella del Wall Street Journal del 25 marzo «l’Economia cambia e le regole bancarie non tengono il passo di questi cambiamenti». Mai opinione è stata più condivisibile, infatti, dalla fusione di UBS e Credit Suisse si è creato un mostro da diecimila miliardi di derivati. Attendiamo il 14 aprile e vediamo che succederà ancora.