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PNRR: PARTNERSHIP PUBBLICO E PRIVATI

palazzo Chigi eu PNRR

di Luca Lippi

L’erogazione della terza rata del PNRR da 19 miliardi è stata sospesa. La commissione si è riservata due mesi di tempo per decidere. Il motivo sarebbe che l’Italia non garantisce il raggiungimento degli obiettivi concordati, necessari e sufficienti per ricevere con regolarità l’erogazione del finanziamento

In realtà riemerge un interrogativo (sollevato già due anni fa) sull’opportunità di ricorrere al recovery fund; chiedendo il massimo della disponibilità. Soprattutto, al netto di quanto realmente è necessario, le priorità che sono state individuate sono quelle giuste? Ultimo, ma non ultimo, l’Italia sarà in grado di onorare gli impegni che sono stati presi?

Il PNRR

Il PNRR è lo strumento attuativo del programma europeo Next Generation EU che mette a disposizione circa 700 miliardi di euro per gli 27 Stati membri.

Di questi 700 miliardi di euro la metà (circa) sono trasferimenti a fondo perduto; i restanti sotto forma di prestiti (al tasso di circa 3%) dovranno essere restituiti.

Le quote parte per ogni Paese, sia per la parte a fondo perduto sia per la parte a debito, sono stabilite in proporzione alla popolazione e al Pil dei singoli Pesi richiedenti, con un occhio particolarmente attento all’impatto della crisi pandemica e alle conseguenze negative subite da ciascun stato membro.

I criteri di richiesta dei fondi

Stabilito l’importo da destinare, i criteri necessari per aderire ai finanziamenti sono: sottoscrivere proposte di riforme coerenti con gli obiettivi della Commissione e proposte di investimento da finanziare col PNRR (approvati dal Consiglio e dalla Commissione europea). Dei 27 Paesi membri, 20 hanno chiesto il 100% dei trasferimenti a fondo perduto e zero della parte a debito.

Sette Paesi chiedono anche la quota a debito, di questi solo quattro chiedono una parte (non il totale spettante) i rimanenti tre Stati membri (Italia, Grecia e Romania) chiedono il cento per cento della quota a debito.

La situazione in Italia

In Italia, circa la metà dell’intera quota stabilita è stata richiesta in origine dal governo Conte; con un piano presentato alla Commissione, redatto frettolosamente e “riempito” di progetti a dar fondo di tutti i cassetti dei Ministeri. Il piano è poi stato rielaborato e “migliorato” dal governo Draghi, ma senza ridurre l’importo richiesto.

Nel PNRR presentato dal governo Conte mancavano i traguardi intermedi che servono a dare seguito alla richiesta di pagamento; oltre alla relazione per dimostrare l’impiego dei finanziamenti a sostegno della crescita. Per essere più precisi, la relazione del governo Conte2, allegata alla documentazione necessaria per ottenere il finanziamento, non dimostrava – a detta della Commissione- un rapporto condivisibile tra finanziamento e crescita del Paese.

Quando è intervenuto Draghi su questi due punti la Commissione si è detta soddisfatta. Tuttavia sul resto è cambiato poco o nulla, solo un mucchio di provvedimenti che fanno l’occhiolino alla transizione ecologica che tanto piace alla UE.

Il dibattito di questi giorni

L’attuale governo in carica ha sollevato diverse questioni, una fra tutte quella di dover revisionare alcune riforme, attuate dai precedenti governi. Si discute sulla valutazione degli investimenti proposti oltre che su una maggiore perizia sulla reale capacità di restituzione delle somme richieste nei tempi imposti; senza danneggiare ulteriormente gli equilibri economici interni.

Il tema è che buona parte degli investimenti proposti non sono adeguati a rilanciare concretamente l’economia del Paese. Oltre la metà dei progetti sono spese che non produrrebbero ricavi futuri adeguati a giustificarne l’impresa. Le riforme attuate negli ultimi due anni hanno solo “arronzato” il maquillage; nessuna si è rivelata veramente in grado di imprimere una sterzata seria all’efficientamento del settore d’intervento.

Un esempio su tutti è la riforma della giustizia per la quale si sono spese fiumi di carte sulla prescrizione che poco hanno a che fare con una riforma vera e propria.

governo Meloni

Il PNRR si fonda sulla crisi dovuta alla pandemia

Il PNRR ha una genesi piuttosto controversa e si fonda sulla crisi pandemica, laddove la Merkel e sodali più o meno fedeli, hanno intravisto una relazione tra il virus, la globalizzazione e la crisi ecologica del pianeta. Non sono necessarie competenze particolari per giudicare tutto questo una follia.

La nascita stessa del Next Generation EU rappresenta una sorta di isterismo che genera una serie di provvedimenti del tutto insensati e disordinati. Provvedimenti basati su teorie quasi mai dimostrabili e quindi facilmente preda della politica del nuovo millennio, asfittica di programmi e di obiettivi facilmente riconoscibili.

Se l’obiettivo è quello di suicidare l’industria europea, per ridurre del 2% le emissioni di CO2 “salvando il mondo” e riducendoci a mendicare dai Cinesi qualcosa senza rovinarci, allora siamo sulla strada del “fine pena mai”.

Spendiamo soldi a pioggia per fare delle “rotonde” e sperare di interrompere questa china è pressoché inutile, dobbiamo rassegnarci a vedere errori che produrranno altri errori.

Il deficit del sistema italiano non aiuta ad ottimizzare l’opportunità offerta dalla Ue

Altresì è giusto sottolineare anche il deficit del “sistema Italia” che non aiuta a ottimizzare l’opportunità offerta dalla Ue.

Questo è dimostrato dall’atteggiamento degli enti locali che alla vista del “bottino” hanno estratto dal cassetto tutti i progetti in sospeso -la più parte inutili- nella speranza di poterli attuare senza tirare fuori un Euro. Il caso più eclatante è quello della regione Sicilia, con 181 progetti bocciati su 181 presentati. La scarsa coerenza con gli obiettivi di crescita sottolinea la visione delle amministrazioni che alla vista di spesa pubblica facile trasformano l’appetito in bulimia. È su questo che il governo in carica ha sollevato la maggior parte delle obiezioni a supporto di una riflessione aggiuntiva sull’opportunità offerta dal PNRR.

Il governo avrà il coraggio di riscrivere il PNRR?

Corretto e coerente sarebbe allocare le risorse non come spesa pubblica, ma come partnership pubblico/privata; o come credito d’imposta per gli investimenti privati orientati sulle transizioni energetica e digitale.

Questo consentirebbe di dipanare la matassa che si è creata al livello di capacità di messa a bando, progettazione, realizzazione e gestione della struttura pubblica. Garantirebbe continuità agli investimenti, perché l’obiettivo del PNRR non deve essere quello di spendere soldi ma migliorare la produttività di lungo periodo dell’economia italiana.

Il governo avrà il coraggio -soprattutto il tempo- di riscrivere il PNRR?

Le opposizioni avranno l’onestà intellettuale di sedersi a un tavolo e aiutare fattivamente la maggioranza a migliorare tutti i progetti, stabilendo anche la reale necessità di prendere il cento per cento della quota a debito? Allo stato dell’arte, l’intoppo sostanziale è quello, incomprensibile, di screditare l’esecutivo, quando per fare un esempio – c’è la possibilità di rilanciare e migliorare il “piano nazionale industria 4.0” che avvierebbe concretamente la quarta rivoluzione industriale.