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TELEMEDICINA: PARLA IL PROF GABBRIELLI DELL’ISS

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Una grande opportunità per il nostro Ssn anche se siamo solo alla fase iniziale. Parla il professor Gabbrielli dell’Istituto Superiore di Sanità

di Danilo Quinto

Dal mese di giugno del 2017, Francesco Gabbrielli ha diretto il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’ Istituto Superiore di Sanità. Guida le attività di R&S, R&I, supporto progettuale e di scientific advisoring per le altre Istituzioni regionali, nazionali ed europee nel settore della Telemedicina e della Sanità Digitale. Nelle applicazioni in Sanità della Robotica, dei Big Data e nella sperimentazione clinica dell’Intelligenza Artificiale. Docente di eHealth al Corso Magistrale di Economia e Management della Sanità e dell’Innovazione Tecnologica presso l’Università San Raffaele di Roma. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative in materia di Sanità Digitale, Telemedicina e ricerca sperimentale medico-chirurgica. Docente e consulente nella progettazione e nella realizzazione di Servizi Sanitari digitalizzati in Italia, America Latina e Africa.

Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Pisa, Specializzazione in Chirurgia Generale e Dottorato di Ricerca in Chirurgia Sperimentale all’Università degli Studi dell’Aquila, Master e Registro EUPF dei Progettisti e Manager di Euro-Progetti. Ricercatore dal 1996 in diversi progetti nazionali e internazionali sulle innovazioni tecnologiche per: servizi medico-chirurgici; gestione del cambiamento nei sistemi sanitari; la sicurezza del paziente e la garanzia della qualità sui servizi sanitari; progettazione di sistemi eHealth e mHealth. Ha svolto attività professionale medico-chirugica in Italia (Pisa, L’Aquila, Avezzano, Formia, Roma) e in Spagna (Granada). Già dirigente medico presso il Policlinico di Roma Umberto I, consulente esperto indipendente per la Commissione Europea su progetti eHealth e mHealth, VP Cluster for Health Innovation and Community (CHICO) 2015-2017 e VP Società Italiana per la Salute Digitale e la Telemedicina.

Com’è lo stato della Telemedicina in Italia?

In estrema sintesi possiamo dire che siamo in una fase iniziale di sistema. La Telemedicina in Italia esiste da molti anni, ma a livello sperimentale. Me ne occupo da 25 anni di questa materia e posso dire che fino al COVID19 era una tematica riservata a pochi esperti e cultori. Con il 2020 c’è stata un’impennata comunque non strutturata, perché legata all’emergenza sanitaria. Da quel momento in poi abbiamo iniziato a costruire un sistema di Telemedicina coerente a livello nazionale. Il 17 dicembre 2020 è la data in cui venne pubblicato il primo accordo Stato-Regioni sulla Telemedicina, di cui sono orgoglioso perché basato sugli studi del Centro Nazionale da me diretto. Da quella data in poi nascono tutta una serie di iniziative legate ai documenti diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità durante la pandemia.

A partire dal 2022 abbiamo collaborato con AGENAS per costruire un sistema di Telemedicina prevalentemente pubblica, aperto anche al privato, per sessanta milioni di persone. Nonostante tutte le difficoltà, principalmente di carattere burocratico, siamo il primo Paese al mondo che tenta di realizzare un sistema di tali proporzioni. Abbiamo quindi una grande opportunità, ma dobbiamo tenere presente che siamo all’inizio di un percorso. Abbiamo compiuto solo i primi due-tre passi di un’evoluzione necessaria molto più articolata e sfidante.

A quanto ammontano gli investimenti in questo settore?

A svariati miliardi e sono investimenti per lo più privati, in crescita. I trend di maggiore crescita riguardano la sensoristica e i dispositivi digitali. Il settore dei software e delle piattaforme si sta abbastanza calmierando in questo periodo. L’Intelligenza Artificiale si trova nella prima fase di picco, di entusiasmo collettivo, ma secondo me ci sarà un ridimensionamento del suo ruolo nei prossimi anni.

Che cosa pensa dell’applicazione dell’IA nel campo della sanità?

Dividerei la IA in due ambiti di applicazione: quello della parte organizzativa e logistica della Sanità e quello utile per fare diagnosi e prendere decisioni mediche. Non capisco perché il primo ambito non venga già usato negli ospedali. Perché ha dimostrato, in altri settori produttivi, di essere uno strumento potentissimo di controllo, non solo di ottimizzazione delle risorse, ma anche di implementazione di nuove opportunità. Sul secondo ambito, invece, c’è tutto un mondo di esperienze e pratiche cliniche di cui non sappiamo ancora nulla. Su questo tema ho fondato un gruppo di esperti con cui abbiamo iniziato uno studio specifico sulla metodologia di sperimentazione clinica dell’IA. Anche in questo caso siamo i primi al mondo a tentare di fare questo discorso. Senza alcun dubbio, sull’IA ci sono molte aspettative, ma c’è tantissimo ancora da lavorare, la strada da fare è ancora molto lunga.

Sono in molti a ritenere che affidarsi in toto alla tecnologia possa far perdere le conoscenze tradizionali della Medicina anche in termini d’interventi chirurgici. Lei condivide quest’opinione?

È un timore che anch’io condivido. È sbagliato usare la tecnologia in modo acritico e aspecifico, senza un ragionamento clinico, che deve guidare e va insegnato. Il ragionamento clinico, comunque, parte sempre da una base solida, che è quella tradizionale. Quindi, occorre rimanere sul sentiero tracciato dalla Medicina in centinaia d’anni, nel quale dobbiamo inserire delle modalità diverse di utilizzo delle tecnologie. Questo fatto, nel tempo, modificherà anche la Medicina, inevitabilmente, ma questa nuova Medicina dovrà arrivare con i tempi giusti. Con la sperimentazione, la meditazione, la riflessione su ciò che stiamo facendo e non con la corsa, la fretta.

Qui c’è un problema da tener presente: chi produce tecnologie digitali vuole vendere subito. Chi le usa ha invece bisogno di tempo per sperimentarle e per capire a chi sono veramente utili rispetto ai possibili utilizzi. E questo richiede tempo. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra queste due esigenze contrastanti, perché il medico oggi non può fare a meno dei produttori. Far convivere queste due esigenze è una grande sfida per la Medicina del domani che vuole usare la tecnologia.

Esistono delle resistenze all’affermarsi della Telemedicina?

Sì e purtroppo vengono proprio dai professionisti sanitari. Si manifestano sulla mancata volontà di utilizzare le tecnologie per quello che sono. Le faccio un esempio: tutti parlano di televisita e teleconsulto, che però sono destinati ad essere marginalizzati, perché coloro che hanno provato a usarli nel quotidiano ma senza adeguamento organizzativo. Ad esempio i dermatologi, sui quali abbiamo sviluppato uno studio, non li percepisce come una risorsa ordinaria di lavoro. Ma da riservare ad una percentuale molto piccola di casi, circa il 15%. Perfino i sistemi che hanno provata efficacia, come le reti STEMI o STROKE nelle emergenze per infarto cardiaco o ictus, sono utilizzati, perché sarebbe anacronistico non farlo, ma solo in casi particolari, ovvero quando le procedure tradizionali non possono funzionare. Così, la Telemedicina viene relegata ad un uso eccezionale. Di fatto, non viene usata mai o quasi mai. Invece, deve diventare un sistema ordinario di lavoro, grazie al quale si possono cambiare i processi organizzativi interni all’azienda. È questo lo sforzo vero da fare.

Un modo per superare questo gap, potrebbe essere quello d’inserire la Telemedicina nei Livelli Essenziali di Assistenza.

Forse sì. Noi intanto, nel nostro piccolo, abbiamo fatto questo: abbiamo riunito dodici società scientifiche che si occupano di Neurologia ed abbiamo realizzato un documento di consensus sull’uso della Telemedicina per la Neurofisiologia Clinica. Una materia molto specialistica e molto importante, che prevede misurazioni fatte con sistemi digitali da effettuare anche a distanza, con enormi benefici per il paziente e per il sistema. Abbiamo altresì realizzato, anche qui dopo un lungo studio, una cosa analoga per la Cardiologia. Abbiamo riunito diciannove società scientifiche di Cardiologia, che hanno sottoscritto un documento di consensus, approvato anche con il contributo delle associazioni dei pazienti, nel quale c’è scritto che in alcune situazioni – ad esempio nello scompenso cardiaco cronico – è preferibile e raccomandato assistere il paziente grazie alla Telemedicina.

Non è ancora possibile fare vere e proprie Linee Guida mediche italiane sulla Telemedicina, perché non ci sono ancora casistiche sufficienti su base nazionale, ma nel frattempo abbiamo realizzato questi documenti che sono molto importanti. In realtà, l’intenzione sarebbe quella di proseguire per tutte le specialità, ma per farlo sono necessari investimenti per garantire le risorse umane e materiali necessarie a realizzare finalmente un Centro nazionale di Telemedicina, medicina digitale/ robotica e farlo funzionare in modo adeguato. Purtroppo in questi anni tale proposta è stata sempre ignorata a livello istituzionale, mentre il lavoro svolto è stato accolto molto positivamente dai colleghi sanitari. Però il nostro lavoro, che può essere solo di alta qualità, ha bisogno di tempo. In sintesi, non si possono elaborare in tempi brevi con poche persone e risorse esigue gli studi di carattere tecnico- scientifico di cui avrebbero bisogno coloro che hanno il dovere di formulare gli atti regolatori della Sanità moderna.

Quali sono i settori in cui la Telemedicina aiuterebbe di più il sistema sanitario nazionale?

La cronicità, la multi-morbilità e la prevenzione. In questi settori la Telemedicina potrebbe dare un contributo enorme in termini di risultati, di aumento di qualità, accessibilità e sicurezza e quindi ridurre il ricorso a terapie estremamente costose, rendendo complessivamente il sistema più sostenibile. È chiaro, però, che bisogna fare degli investimenti oculati e ben strutturati in termini di progetto per i territori da servire. Non si può improvvisare e non serve acquistare macchine e sistemi digitali senza sapere prima come andranno usati.