Home ORE12 Economia AZIONARIO: RISCHI E NON RISCHI DI TRENTA GIORNI DA BRIVIDI

AZIONARIO: RISCHI E NON RISCHI DI TRENTA GIORNI DA BRIVIDI

dollaro usa

Nell’orizzonte temporale di un mese, il mercato azionario statunitense – ci riferiamo sempre alla più grande economia del mondo per fare analisi tecnica – ha segnato una perdita del cinque per cento. Il mese più brutto degli ultimi due anni! Più di tutto ha ritracciato il settore tecnologico, i famosi “magnifici sette” che sono stati il traino di tutto il mercato per il 2023

di Luca Lippi

La trattazione sarà più tecnica – senza esagerare – cercando di spiegare cosa sono i “rischi” e i “non rischi”, elementi non fondamentali ma importanti, insieme ad altri indicatori, dell’analisi tecnica. Tutto questo sarà offerto sempre nella massima fruibilità per chi non si occupa professionalmente di Finanza.

Perche’ L’azionario È Volatile

Il recupero delle quotazioni dal 2020 in poi è stato incredibile (+145 per cento). Andando indietro nel tempo, l’azionario non aveva mai sovraperformato così neanche dopo lo shock del 1987 (+94 per cento). Ha fatto leva anche il fatto che sono state stampate tonnellate di valuta che sono andate in circolo nei mercati.

Negli ultimi dodici mesi il rendimento del S&P500 è stato del 30 per cento – questo relativizza anche la perdita del 5 per cento dell’ultimo mese – ben oltre la media di lungo periodo sui rendimenti a un anno. A tutto questo si aggiunge il dato che evidenzia scarsa volatilità, si evidenzia calcolando l’intervallo temporale all’interno del quale non si ricava una volatilità superiore al due per cento (52 giorni consecutivi senza correzioni) e questo si chiama Pullback.

Le correzioni di un trend sono fisiologiche, è stato strano che per diversi mesi non ce ne sono state a lungo, poi bisogna valutarne anche la qualità perché le correzioni non sono in assoluto negative.

Cosa Succede Ai Mercati

Sicuramente, è evidente, qualcosa è cambiato nell’andamento del trend. Lavorando sulle medie mobili, si nota che il trend di lungo periodo rimane rialzista, ma la novità degli ultimi giorni è che sulle medie mobili di breve periodo il trend non è più rialzista, sta ritracciando “paventando” un’inversione di tendenza – i segnali non sono ancora sufficienti per determinare la forza -. Le medie mobili di breve periodo non spaventano il risparmiatore e interessano solamente lo speculatore, tuttavia sono campanelli di allarme per sollecitare una maggiore attenzione sul futuro andamento.

I “Non Rischi”

L’equity supply (quantità di titoli disponibili sul mercato) scende. Ci sono meno titoli da comprare sui mercati, questo avviene perché le aziende ricomprano i propri titoli sul mercato – buy back – e il meccanismo è il seguente: fatto cento il valore della società, se questo valore è diviso in cento azioni significa che ogni azione vale uno, se l’azienda ricompra i suoi titoli lasciando sul mercato solo venti azioni, queste azioni varranno cinque.

Il fenomeno descritto poco fa è stato molto sostenuto, tanto è vero che siamo ai minimi di titoli disponibili sul mercato. Tutto questo sostiene le quotazioni, è piuttosto intuitivo. Su questo fenomeno non è possibile estrapolare segnali determinanti per valutare un trend, sicuramente si può discuterne, ma le opinioni, tecnicamente, non sono mai rischi.

Ci sono, poi, le implicazioni geopolitiche, che mediamente non hanno mai avuto impatti sui mercati (dato storico) quindi anche questa categoria è da annoverare tra i “non rischi”. Paradossalmente, da Pearl Harbor in poi, a ogni “catastrofe” i mercati sono sempre cresciuti, al massimo hanno “lateralizzato”. Su questo il lettore farà atto di fede perché è inutile raffigurare graficamente il fenomeno, si affidi alla conoscenza dello scrivente.

Volatilità nel breve periodo

Dunque, c’è una volatilità nel breve periodo ma non si evidenziano grandi rischi nel lungo, in ogni caso un po’ di volatilità è salutare. I dati sugli utili per azione del primo trimestre 2024 – il riferimento è sempre il mercato USA S&P500 – segnano crescita, esattamente 0,9 per cento, terzo trimestre di fila di utili in crescita.

In estrema sintesi, i fondamentali a sostegno del trend in crescita ci sono, le oscillazioni di periodo non sono così violente e neanche di durata sufficiente per preconizzare scenari negativi.

Nella categoria “non rischi” inseriamo anche la presenza di pochi titoli che pesano tanto all’interno del S&P500 – i noti magnifici sette -. Questi ultimi hanno stornato pesantemente trainando tutto il mercato durante il 2023 ma questo fenomeno, si è già verificato, non è mai stato indicatore di crollo imminente. I titoli tecnologici concentrati e trainanti dell’intero indice sono comunque titoli assai profittevoli. Concludendo il discorso dei “non rischi”, gli storni importanti di un mercato azionario, storicamente, si sono sempre verificati nell’ultimo trimestre dell’anno, quindi – in assenza della palla di cristallo – si può comunque ipotizzare come un “non rischio” la volatilità di quest’ultimo mese.

I Rischi

Qualche rischio sui mercati c’è. Il primo rischio è stato innescato dall’aspettativa del taglio dei tassi d’interesse da parte della FED e a seguire di tutte le altre banche centrali. L’azionario statunitense ha cercato di anticipare la tendenza fondando speranze sul taglio dei tassi a marzo, e su questo slancio tutti i mercati si sono messi sulla scia. Tuttavia il taglio non c’è stato e allora si è dato per scontato che il taglio fosse a giugno. Sul taglio di giugno Ore12 ha puntato sin dal principio, considerando improbabile ogni eventuale anticipazione.

Nella realtà, durante questi ultimi mesi, negli USA si è consolidata la presa di coscienza di una forte resilienza dell’inflazione, mettendo a rischio la decisione della FED di tagliare i tassi, causa, appunto il forte rallentamento della discesa inflattiva che fatica a stazionarsi sotto il 3 per cento. Questa dinamica preoccupa i mercati perché se non scende l’inflazione non scendono i tassi d’interesse e se questi ultimi non scendono si profila il rischio di un rialzo dei tassi. Gli operatori, che raramente tremano per situazioni anche perniciose ma controllabili, oggi sono preoccupati a causa dell’incertezza.

I tassi di interesse hanno impatto sulla componente azionaria e obbligazionaria

In estrema sintesi: spostandosi l’aspettativa del taglio dei tassi, questa era considerata come un aumento dei tassi impliciti (una non diminuzione=aumento tassi impliciti). Il mercato continuava a salire perché il taglio dei tassi era comunque una certezza anche se differita. Il vento cambia nel momento in cui, in assenza di segnali concreti necessari e sufficienti per sostenere la decisione della FED di tagliare i tassi, la certezza del mercato si è trasformata in incertezza e il rischio che ne scaturisce ha un costo concreto. La volatilità, dunque, consegue all’apprezzamento del “rischio”. A tutto questo si aggiunge un’altra criticità; i tassi di interesse hanno un impatto sulla componente azionaria, ma anche su quella obbligazionaria.

I titoli di stato decennali del Tesoro statunitense sono risaliti a un rendimento intorno al 4,5 per cento circa, a domino anche le obbligazioni trentennali hanno subito un riprezzamento. La conseguenza è la riduzione dell’Equity Risk Premium (il premio per l’investitore che investe assumendosi un rischio maggiore rispetto ad altre classi di investimento), l’ERP si ottiene sottraendo all’utile della classe di investimento da noi presa a riferimento (S&P500) il rendimento del Treasury a dieci anni. In questo periodo i mercati obbligazionari salgono, quello azionario scende, il premio a rischio per chi investe in azioni si contrae sensibilmente quindi diventa più conveniente investire in obbligazioni in questo momento perché il rischio di rimanere sull’azionario non vale la scelta. Lo spostamento di capitali da una classe di investimento in un’altra accelera la riduzione dell’Equity Risk Premium.

Conclusione

Un po’ di volatilità è salutare, serve anche per sgonfiare le “bolle” che provocano confusione nell’investitore razionale, tutto sta a valutare – ma questo dovrebbe essere stabilito prima con un’attenta valutazione della propensione al rischio – quanto si è disposti a sospendere (sostenere) in termini percentuali e temporali l’aspettativa di guadagno attesa. Fare previsioni è impossibile, tuttavia avere individuato la causa di tutto nella politica monetaria della FED – è più facile valutare l’azione quando il nemico è noto – facilita ogni decisione. Tutta la differenza risiede nell’ansia dell’investitore, su questo aspetto non esiste classe di mercato adeguata se non la vecchia mattonella sotto la quale nascodere il malloppo.