Home Costume e Società Abbagnano, il filosofo per niente ortodosso

Abbagnano, il filosofo per niente ortodosso

A TRENT’ANNI DALLA MORTE DELLO STUDIOSO, IL RICORDO DI UNA GIORNATA CHE RIMARRA’ NELLA MEMORIA. ATTRAVERSO LE PAROLE (ANCHE) DEL SUO AMICO NORBERTO BOBBIO

di Alessio De Dominicis

Questa guerra contro il nemico invisibile Covid-19 è fatta non solo di battaglie sanitarie, ma pure di battaglie di idee. In sostanza sia la guerra al virus che trovarne il vaccino sono un problema filosofico che attiene alla complessità e alla spinosa esistenza umana. Noi che filosofi non siamo, leggendo Platone abbiamo però compreso che il ragionamento filosofico, oltre che condurre alla conoscenza delle cose, ci pone in rapporto costante con il nostro prossimo, quando le fatiche della mente, il sapere, siano a tutto vantaggio dell’umanità tutta. La Repubblica (..beninteso, quella di Platone !) è sempre una lettura stimolante e tra i tanti filosofi del passato a Platone ci indirizzano ancora molte pagine del “Dizionario di Filosofia” (Utet, 1961) di Nicola Abbagnano (1901 – 1990), figlio illustre di Salerno, filosofo e storico della filosofia, che con un libro e una cerimonia vogliamo qui ricordare: il 4 dicembre del 1965, nel Salone dei Marmi della sede comunale salernitana, si svolse una manifestazione in onore di Nicola Abbagnano.

Durante l’evento, organizzato dal municipio retto all’epoca da Alfonso Menna, venne offerta ad Abbagnano una medaglia d’oro del Comune, in riconoscimento dei quaranta anni di attività didattica e scientifica del filosofo, e così come era avvenuto nel marzo dell’anno precedente per l’omaggio reso ad Alfonso Gatto, Menna volle sancire l’evento con la pubblicazione di alcuni scritti di Abbagnano, preceduti dal suo saluto e dagli interventi di Norberto Bobbio e dello stesso Abbagnano. Il volume, affidato alle cure di Giovanni De Crescenzo e Pietro Laveglia, fu stampato in numero limitato di copie nel gennaio 1967, presso la Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio Umberto I, la creatura prediletta di Menna. Nel suo intervento il sindaco ricordò la persona del padre di Nicola Abbagnano, Ulisse, avvocato civilista del foro salernitano, seguace di Giovanni Amendola e dal 1914 al 1920 consigliere comunale di Salerno, e poi l’adolescenza del futuro filosofo, che fu allievo del liceo “Torquato Tasso” prima di iscriversi nel 1916 alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, avendo come maestro Antonio Aliotta, filosofo e accademico morto nel 1964, da cui Abbagnano ereditò – tra l’altro – il suo giudizio costantemente negativo su Benedetto Croce e l’egemonia in Italia del crocianesimo militante. Dopo l’intervento del sindaco prese la parola Bobbio, nome già prestigioso della cultura italiana, con un “Discorso su Nicola Abbagnano”.

Un manifesto etico che si apre in una dichiarazione sul comune percorso ideale: «Non posso nascondere il mio imbarazzo nel dover parlare dell’opera di Nicola Abbagnano. Per due ragioni, almeno: anzitutto si tratta di un’opera tutt’altro che conclusa, di un’opera che, anzi, continua ad evolversi per interno accrescimento con una straordinaria capacità di impadronirsi dei principali nodi di sviluppo del sapere contemporaneo. In secondo luogo, è troppo frammischiata alla storia della cultura contemporanea in Italia, da almeno trent’anni, perché chi, come me, si muove dentro questa storia possa parlarne con sufficiente distacco, da storico e non da testimone. Dico subito che se il mio discorso non sarà un discorso storico e critico non sarà neppure e non ho bisogno di spiegare il perché un’apologia pro amico. Abbagnano e io abbiamo in comune una qualità, che noi naturalmente consideriamo una virtù: di non amare i discorsi troppo lunghi e di intenderci con poche parole. Nel nostro “universo di discorso” non c’è posto per i complimenti». A conferma di quel sodalizio Bobbio aggiunge che, «per far comprendere l’atteggiamento con cui ho affrontato il tema, voglio dire ancora questo: non ho potuto ricostruire l’evoluzione del pensiero di Abbagnano senza ripercorrere le tappe del mio itinerario mentale, senza ripensare ai miei casi personali, senza rifare di straforo e di traverso la storia parallela della mia vita. Per questo il mio discorso sarà insieme storia e memoria, analisi e testimonianza, ricostruzione oggettiva e riflessione interiore».

Nel lungo e articolato discorso sul lavoro di Abbagnano, Bobbio passa in rassegna anche le diverse correnti che animarono il dibattito filosofico tra il primo e il secondo dopoguerra, passando dagli anni del fascismo, con «la lunga notte della ripetizione delle parole d’ordine, dell’ortodossia comandata, del conformismo sterile e sterilizzante» ai primi scritti di Abbagnano: “Le sorgenti irrazionali del pensiero” (1923), cui erano seguite “Il problema dell’arte” (1925), “Il nuovo idealismo inglese e americano” (1927), “La filosofia di Emile Meyerson” (1929), la monografia su “Guglielmo d’Ockham” (1931), “La nozione del tempo secondo Aristotele” (1933), “La fisica nuova. Fondamenti di una teoria della scienza” (1934), “Il principio della metafisica” (1936), fino all’approdo esistenzialista, sul quale Bobbio scrive: «Per quanto si fosse cominciato a parlare da qualche anno di esistenzialismo, nessuno era preparato a trovarsi di fronte ad un filosofo esistenzialista italiano, tanto meno ad una versione italiana, già compiuta e perfetta, dell’esistenzialismo. Confesso che, a pensarci ora dopo tanti anni, il senso della sorpresa non è del tutto venuto meno. Come Abbagnano fosse arrivato all’esistenzialismo e ci fosse arrivato subito in modo cosi sicuro, da padrone, resta ancora nell’ombra». Da molte parti si è espressa poi la stessa considerazione sul pensiero di Abbagnano e sulla sua evoluzione in “versione italiana, originale, dell’esistenzialismo”, facendo risalire la predisposizione del filosofo verso la “Existenzphilosophie” agli anni napoletani e alla pubblicazione del “Le sorgenti irrazionali del pensiero” (1923), come ha scritto Giuseppe Cantillo nel 2008 presentando la seconda edizione del libro. Tornando al discorso di Bobbio del 1965, dopo aver ricordato la tragica vicenda di Cesare Pavese e la terribile domanda esistenziale “A che scopo?”, egli così concludeva: «Dal 1952 dirigiamo insieme la “Rivista di filosofia” che dovrebbe essere, se non presumiamo troppo, l’espressione e il luogo d’incontro di tutti coloro che credono nella funzione rischiaratrice della filosofia».

Dalla risposta di Abbagnano riportiamo le parole finali, che ci paiono ancora attuali: «La divisione del lavoro scientifico, la prevalenza della tecnica, l’industrialismo, le comunicazioni di massa non tendono, come pareva, a indebolire il bisogno della filosofia e l’interesse per essa, ma piuttosto a forzarli e ad estenderli. In certe fasi o a certi livelli della loro attività scienziati, tecnici, uomini d’affari, uomini politici, sono portati a rivolger oggi alla filosofia domande cui non sempre essa è in grado di rispondere. Una grande responsabilità incombe oggi su questa disciplina che ha accompagnato e sorretto l’uomo sin dai primordi della civiltà. Una responsabilità che non può cadere sulle spalle di un solo filosofo, ma richiede piuttosto il lavoro e l’impegno di molte generazioni di filosofi: un lavoro non collettivo e spersonalizzato ma personalizzato, originale e tuttavia alieno da antagonismi polemici e diretto più realizzare una collaborazione che a dar luogo a battaglie ideologiche. A questo lavoro, ricco di responsabilità e di rischi ma che ha perso l’alone romantico della profezia, ho cercato di dare contributo nel corso della mia vita e cercherò di darlo per quanto mi è ancora concesso. E se questo contributo non sarà stato inutile, riterrò che la mia vita è stata bene spesa al servizio della filosofia».