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IL LUSSO NON E’ MILLENARISTA

di Stefania Tucci

La prima considerazione alla fine del confinamento – e nella speranza di non dover vivere ancora esperienze del genere – è che tante persone hanno vissuto la “quarantena” come una sorta di prolungato “pigiama party”, ritornando ad una condizione mentale che caratterizza l’adolescenza. È stato un tempo “sospeso”, nel quale le giornate trascorrevano tra responsabilità e doveri ma dove molte decisioni potevano essere rimandate con la giustificazione del momento eccezionale. La vita oscillava tra impegni e tempi vuoti.

Per tante settimane, molti di noi si sono adattati allo smart working, hanno provato a mantenere una parvenza di vita sociale via Skype, alcuni hanno patito per la chiusura di centri wellness e parrucchieri – luoghi di cura della forma fisica – altri per l’impossibilità di visitare musei e biblioteche – luoghi in cui assaporare l’arte e il piacere del sapere.Le persone si sono così abituate a indossare l’abbigliamento sportivo e informale tutti i giorni, usando poco il make up e pochissimi i gioielli, allentando la ricerca della forma estetica come elemento di controllo della propria vita.

Per tanti l’informalità dell’abbigliamento ha destrutturato anche la cornice della propria esistenza quotidiana, con i suoi riti di prepararsi la mattina per andare in ufficio, organizzare il trolley in modo funzionale per viaggiare, la sera provare il piacere di cambiarsi d’abito per la cena. Vestirsi in modo diverso durante la settimana rispetto al week end, usare l’abbigliamento sportivo solo per lo stretto necessario erano tutti codici di comportamento che differenziavano momenti diversi della giornata e scandivano attività ben separate le une dalle altre.

Tutto questo per mesi è stato sospeso dal rimanere in casa e uscire solo per le poche attività consentite in quanto necessarie.

I vestiti e le borse sono rimasti chiusi negli armadi, le scarpe nelle scarpiere, i gioielli nelle cassaforti.

Qualcuno si è chiesto se tutti questi oggetti sarebbero stati ancora utili e se saremmo tornati a comprarli per il piacere di sfoggiarli.

Le stesse inquadrature degli angoli della casa che apparivano nelle conferenze su zoom, avevano come sfondo prevalentemente le librerie- più o meno ordinate, più o meno contenenti testi che denotano una buona cultura del suo proprietario.

Nella eccezionalità della situazione molti di noi hanno ritenuto che era più professionale mostrare una inquadratura simil – ufficio, piuttosto che far entrare degli estranei, o anche dei colleghi di lavoro, nel cuore delle nostre abitazioni, mostrando le nostre passioni. Perché le case e i loro contenuti sono il cuore della vita privata e la quarantena ha mescolato il tempo lavorativo con quello libero, la vita privata è stata condotta negli stessi spazi in cui siamo stati costretti a lavorare, lasciando fuori, in ufficio, anche riti e codici di comportamento standardizzati del mondo del lavoro.

La seconda considerazione è che la quarantena ha portato ad una riconsiderazione della scala dei nostri bisogni e desideri, con una riduzione della propensione all’apparenza verso gli altri a favore di una maggiore attenzione per se stessi, per la propria salute fisica e mentale.

Queste circostanze nuove, unite alla caduta dell’economia mondiale, hanno fatto sorgere in molti analisti, anche finanziari, la domanda se sia arrivata la fine del lusso così come inteso fino ad oggi, o meglio, a ieri. E soprattutto se il settore, trainante delle economie di alcuni Paesi, si sarebbe ripreso e in che tempi.

Innanzitutto bisogna inquadrare bene che cosa si intenda per lusso. È una parola che i cinesi compongo di due caratteri che possono significare sia stravaganza che tradizione.

In occidente, potremmo definire il lusso sia come lo sfoggio del superfluo che come il piacere dato dalla ricerca di sensazioni di benessere.

A seconda quindi del significato del lusso possiamo avere comportamenti rivolti verso gli altri o invece ricerca di piaceri innanzitutto individuali. È l’esaltazione dell’apparenza o la centralità dell’essere?

Quando indossiamo capi disegnati da stilisti lo facciamo per il piacere per la qualità dei materiali con cui sono realizzati o perché vogliamo comunicare agli altri la appartenenza alla categoria delle persone benestanti?

Analoghe considerazioni riguardano il collezionare opere d’arte e gioielli? È un piacere che coinvolge la vista ma appaga anche il senso di appartenenza alla comunità dei collezionisti, aumentando la nostra autostima. È anche una forma di investimento?

L’impatto del Covid-19 sul mercato del lusso è certamente condizionato dalla caduta generale dei redditi, con la chiusura di molte attività economiche, ma anche dalle tante considerazioni psicologiche che il consumo dei beni di lusso coinvolge.

Le settimane di isolamento hanno portato ad una riduzione nella ricerca del superfluo o la voglia di gratificazioni edonistiche è rimasta intatta? I dati economici mostrano una caduta tra il 25% e il 30% nel primo quadrimestre 2020, che non sarà recuperata prima del 2022 o del 2023, secondo scenari mediani. Comunque la riduzione per il 2020 è stimata tra i 60 e i 70 miliardi a livello globale, vale a dire tra il 22 e il 25% del mercato).

Una parte importante della riduzione dell’acquisto dei beni di lusso è data dalle restrizioni ai viaggi internazionali, in quanto i turisti hanno tra le mete dei loro viaggi anche le boutique dei grandi marchi, anzi lo shopping inizia già nei duty free degli aeroporti, ormai veri e propri shopping mall.

Una parte dello shopping è stato sostituito dagli acquisti on line. Questa formula ha il vantaggio di consentire una maggiore scelta e comparazione tra i differenti oggetti, ma ha lo svantaggio di privare l’acquirente dall’esperienza emozionale di entrare in un negozio, per essere accolto come cliente privilegiato da commessi istruiti a far sentire ognuno un Vip, e i clienti, a fronte di questo trattamento, sono ben disposti a spendere e comprare di più del dovuto e del voluto.

La Cina, che è stato il primo Paese ad aprire dopo il lock down, ha subito fatto registrare un ritorno gli acquisti di beni di lusso. Il negozio di Hermes aperto a Canton a metà marzo, ha incassato in un solo giorno 2,7 milioni di dollari, segno che i ricchi cinesi non vedevano l’ora di festeggiare la fine dalla quarantena. Ricordiamoci che i consumatori cinesi rappresentano il 35% del mercato globale dei beni di lusso personali.

Certamente è anche aumentata l’attenzione dei clienti verso le qualità dei prodotti da acquistare, con uno sguardo sia alla sostenibilità ambientale che al luogo di provenienza dei beni.

La pandemia, infatti, ha posto ancor di più l’attenzione sull’ambiente e quindi sulla disponibilità delle persone spendere anche di più per avere prodotti che possono sfoggiare la qualifica “green”.

Tema molto sentito soprattutto per i prodotti alimentari. E da qui il nuovo business della qualifica di “biologico” in senso ampio.

Durante il lockdown, complice la chiusura dei ristoranti e lo stare tutto il tempo in casa propria, molte persone hanno cominciato a cucinare o a ordinare on line alcune prelibatezze, spingendo ancora di più il consumo di prodotti tipici, locali, eccellenze alimentari, anche a costo di pagare molto di più rispetto a prodotti simili ma di massa. Acquistare sale rosa dell’Himalaya per condire l’insalata a prezzo maggiorato del 300% rispetto al sale marino è una forma di lusso come indossare un foulard di Hermes o un golf di cashmere.

Questo sarà un trend duraturo, soprattutto per le giovani generazioni, le quali prestano molta attenzione alla forma fisica e associano il cibo al benessere e alla qualità della vita.

Questa attenzione alla sostenibilità ambientale dei prodotti di lusso avrà un impatto di lungo termine anche sulla riformulazione della supply chain, e i produttori chiederanno ai loro fornitori di certificare le componenti che costituiscono i prodotti in modo da garantire al consumatore finale la qualità.

Questo sarà un aspetto importante della nuova strategia di comunicazione in cui i marchi del lusso saranno sostanzialmente costretti metteranno al centro delle qualità del prodotto anche l’etica. Aggettivo usato con la doppia valenza: da un lato riguardo all’impatto sull’ambiente e dall’altro a quello sulla coscienza dell’acquirente. In quanto il coronavirus ha aumentato la polarizzazione della società tra coloro che pur avendo sofferto di una contrazione dei redditi non hanno subito una grande riduzione della loro ricchezza – e quindi possono continuare a permettersi consumi elevati – e quanti invece hanno avuto la loro vita economica profondamente segnata dalla crisi: diventerà centrale, insomma, per i primi giustificare “eticamente” i loro consumi.

Una giustificazione sarà certamente data dalla considerazione che il consumo è alla base della crescita dell’economia di mercato e se non riprendono gli acquisti, anche individuali, non si uscirà dalla crisi. Lo shopping diventa, e si giustifica moralmente, come una forma di contributo individuale alla ripresa economica.

I consumi saranno indirizzati maggiormente verso beni di lusso “durevoli” e meno verso quelli “stravaganti”. In tal senso molti stilisti hanno iniziato a dichiarare che faranno meno collezioni all’anno, con capi meno soggetti alla moda “istantanea” e più ispirati alla tradizione e alla ricerca della qualità.

Certamente gli acquisti di beni di lusso effettuati dalla classe media in tutto il mondo saranno diretti verso oggetti che racchiudono più qualità, sostenibilità, durevolezza. Sarà un ritorno al passato dove alcuni oggetti si tramandavano di generazione in generazione o segnavano ricorrenze memorabili nella vita delle persone. Pensiamo agli orologi o ai gioielli, tipici regali che sottolineavano momenti importanti della vita.

Anche nel mercato dell’arte si tornerà a valorizzare gli artisti come soggetti dotati di capacità non ordinarie di creare opere e non di possedere maggiori capacità di marketing.

Saranno i committenti (collezionisti, appassionati, direttori di musei) a designare qualcuno con la qualifica di “artista”, così come era accaduto nel passato. I gradi artisti erano tali perché ritenuti eccelsi dai loro mecenati, basta tornare con la memoria al Rinascimento italiano dove i papi, i re, i principi si contendevano le opere dei migliori pittori, scultori, architetti, corteggiando e lusingando con ricche commesse i migliori talenti.Non saranno più i galleristi e le case d’aste a creare personaggi da show business, dove non conta che cosa produci ma a quanto è stata battuta la tua ultima opera all’ultima asta, gonfiando il mercato con scambi anche poco trasparenti.

L’importante sarà tornare a stimolare e apprezzare la creatività, intesa come la più alta espressione dell’intelletto umano, perché la ricerca del bello, dell’elegante è sempre stata una aspirazione dell’essere umano.

L’arte distinguere gli uomini dagli altri primati, in qualsiasi fase dell’evoluzione del genere umano. Anche i cacciatori-raccoglitori adornavano il corpo con segni distintivi, tatuaggi, pitture, piume, piccoli monili per distinguersi e caratterizzare la loro posizione all’interno del gruppo sociale.

Ricordiamo tutti le prime forme artistiche delle pitture rupestri, risalenti anche al Paleolitico, in cui i nostri antenati rappresentavano se stessi, gli animali e le scene di caccia, primi esempi di come l’uomo amava dominare l’ambiente in cui viveva.

Non sarà un virus a cambiare l’innata predisposizione dell’animo umano all’elevazione verso il divino, inteso come ricerca della perfezione sia nella forma che nel contenuto.