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La Signora del socialismo

Anna Kuliscioff

GIORNALISTA, MEDICO, LIBERA PENSATRICE, AGITATRICE. A QUASI UN SECOLO DALLA MORTE LA SUA VITA IRRIPETIBILE RIMANE ESEMPLARE PER LE DONNE. E NON SOLO PER LORO

di Katrin Bove

A Milano non c’è che un uomo, che viceversa è una donna, la Kulisciova”. Così scriveva Antonio Labriola in una lettera a Friedrich Engels nel 1893, riconoscendo in questo modo l’importanza della figura di Anna Kuliscioff tra i più influenti attivisti e teorici del socialismo a livello europeo. Anna Kuliscioff fu donna di grande fascino e di non minore personalità, perfino spigolosa, aliena da compromessi, sia sul piano relazionale che politico. Si è detto, a ragione, che il suo passato (di giovane donna, esule russa in Europa, che si muoveva fra alcune delle grandi figure del movimento operaio e socialista internazionale e in Italia, compagna di Andrea Costa e poi, dal 1885 sino alla morte di Filippo Turati) le conferiva un’aura di seduzione intellettuale che non lasciava indifferente nessuno. Il socialismo fu interpretato dalla Kuliscioff come missione internazionale e, allo stesso tempo, utopia inscalfibile dell’umanità tutta, senza distinzioni. In tale lucido ecumenismo, assai più moderno del panorama politico italiano a lei coevo, risiedeva la sua attualità e il lascito più  grande del suo umanesimo. Si affidò alla fredda oggettività della statistica per ripudiare qualsiasi tipo di lotta condotta dal punto di vista morale e tradizionale, poiché la tradizione del culto della donna “angelo del focolare” era da lei considerata falsa speranza e prigione della donna. Il “suo” femminismo vedeva nella fabbrica, per un fatto numerico, la riserva ideale da cui partire per la rivendicazione dei diritti materiali e umani. Questo in una situazione generale di profondo mutamento sociale, dovuta all’avvento del fenomeno industriale che trascinò masse di uomini dalle campagne alle città, e in cui, giocoforza, andavano modificandosi gli equilibri primari intimi e fondamentali delle strutture famigliari oltre che sociali, con la nascente industria a determinare nuovi e forse più duri stili di vita. L’aumento della produzione su larga scala imponeva lo sfruttamento della manodopera, ma nel contempo rendeva plausibile, per la prima volta nella Storia, l’ipotesi di una emancipazione di massa dei ceti reietti. E questo venne intuito dalla Kuliscioff con forza peculiare.


Nella sua speculazione la fabbrica assume un ruolo centrale per la emancipazione delle masse. E anche delle donne. Nucleo del “suo” Femminismo

Il bisogno economico genera la rivendicazione, la fabbrica ne diviene l’incubatrice. Il risultato fu raggiunto, sia pure a caro prezzo, con il miglioramento delle condizioni di vita. Tale visione includeva ovviamente anche le donne, considerate “esercito di riserva dello sfruttamento capitalista”. Quindi, come la grande industria diede luogo alla formazione di eserciti di lavoratori spinti all’organizzazione cosciente delle loro forze, così la grande industria divenne anche la “redentrice” della donna. La Kuliscioff avvertì la potenzialità epocale di tale sommovimento e lo convertì a punto di partenza per una vera emancipazione del sesso femminile. Sostenne l’assoluta inutilità di una lotta contrassegnata dall’odio e dal carattere di asprezza, come avviene nella lotta tra diverse classi sociali. Era sicura che, per contrastare il “monopolio dell’uomo” nelle sue varie manifestazioni, fosse necessaria una cooperazione con gli uomini stessi, già pervenuti all’emancipazione. L’anarchismo, il socialismo, il marxismo in lei servirono quali grimaldelli in grado di scardinare l’antica ingiustizia. Sempre, in tutti i suoi scritti, sia in quelli in cui si avvertiva l’afflato scientifico marxista, sia in quelli più impregnati di istanze rivoluzionarie, si avverte la speranza: la lotta sociale, insomma, doveva inscriversi in un moto evolutivo storico che avrebbe recato l’essere umano alla piena realizzazione. Anna Kuliscioff e Filippo Turati vivranno assieme fino al 1896 (anno in cui Turati appena eletto alla Camera si trasferirà a Roma) nell’appartamento di Portici Galleria, 23 a Milano, dove avrà sede anche la redazione della “Critica Sociale”, la rivista che assieme diressero, nata il 15 gennaio del 1891 e che definirono come la loro “figlia di carta”. Lavoreranno fianco a fianco ed anche durante gli anni del trasferimento a Roma di Turati, continueranno il loro stretto rapporto con una fitta e incessante corrispondenza giornaliera, che intreccerà vita privata e politica, in un connubio di “amore e socialismo”.  Il loro legame, anzi, la loro libera unione procederà all’insegna del rispetto delle differenze e dell’indipendenza di entrambi, in un sodalizio amoroso che durerà fino alla morte di Anna Kuliscioff, il 29 dicembre del 1925. Pur legata sentimentalmente a figure così centrali della storia politica italiana, lei non accettò mai di essere conosciuta solo come “la compagna di” né tralasciò mai la strada per la propria realizzazione professionale e intellettuale. Nel 1890 fu tra le prime donne italiane iscritte all’albo dei giornalisti, e fu soprattutto grazie a questa attività che si mantenne economicamente, scrisse su l’Avanti!  sul quindicinale La Difesa delle Lavoratrici e sulla sua Critica Sociale. Anna Kuliscioff fu anche tra le prime specializzate in medicina in Italia, e con la sua ricerca sull’origine batterica delle febbri puerperali fece da apripista a studi che salvarono milioni di donne. La “dottora dei poveri”, veniva chiamata, in quanto metteva a disposizione la sua competenza medica soprattutto per le donne meno privilegiate e curava spinta da un forte sentimento di filantropia e di sostegno di genere. La “questione femminile” in Italia veniva intesa come parte della questione sociale nella lotta per la conquista dei diritti e dell’elevazione morale del popolo. Quel processo che ha portato le donne ad elevarsi moralmente, partendo dalla presa di coscienza all’interno del socialismo che le condurrà solo in un secondo momento alla conquista dei diritti amministrativi e poi politici. Il femminismo per la Kuliscioff era, dunque, parte integrante del socialismo. Per lei l’emancipazione era una questione morale ed intellettuale oltre che economica e legislativa.

La libertà alla quale ambiva la Kuliscioff era inscindibile dalla giustizia sociale, dalla cooperazione e dal mutuo soccorso. Quel sentimento di solidarietà dovrebbe, ancora oggi, esserci di esempio per creare rete nel mondo femminile e raggiungere la tanto agognata parità di genere che nonostante le varie battaglie continua ancora a non essere pienamente realizzata.

La sua fu una vocazione politica variegata, farcita dalle ambizioni rivoluzionarie della stagione di lotte, che visse in prima persona, e da un percorso privato vissuto per la sua stessa emancipazione, che insieme confluirono in un’unica immensa ed esemplare figura di Donna. Lei, “la Signora del socialismo italiano”, come la descrisse Maria Casalini nel suo libro dal titolo omonimo (pubblicato da Editori Riuniti nel 2013), è stata e sarà sempre un esempio di vigore e di passione, un esempio morale e politico, un esempio di Donna.


La tomba di Anna Kuliscioff e Filippo Turati al Monumentale di Milano