Home News DOLORE CRONICO: LE DIMENSIONI SOCIALI DEL PROBLEMA

DOLORE CRONICO: LE DIMENSIONI SOCIALI DEL PROBLEMA

I risultati di una Survey europea su una patologia che si manifesta in vari modi e che in Italia colpisce ben 13 milioni di persone di diverse età

Oltre 100 milioni di persone in Europa (13 milioni solo in Italia) soffrono di dolore cronico e lo affrontano con terapie farmacologiche, trattamenti manuali o interventi chirurgici. Secondo quanto emerso da una Survey, condotta nel luglio 2022 da un Istituto di Ricerca indipendente in Germania, UK, Spagna e Italia su 2000 pazienti affetti da dolore cronico, i pazienti italiani possono attendere fino a 10 anni prima di avere una diagnosi corretta e impostare terapie adeguate, spesso inascoltati dagli stessi medici che tendono, sostanzialmente, a banalizzare il problema. 

In termini clinici, il dolore cronico è un dolore costante, che dura più di tre mesi e può colpire chiunque, a varie età, in qualsiasi parte del corpo. E’ “classificato” in due grandi categorie: dolore nocicettivo (una lesione, un taglio, un’ustione) o neuropatico, ovvero generato da un problema che coinvolge le fibre nervose alterando la capacità dei nervi di trasmettere al cervello i segnali sul dolore. Il dolore neuropatico più diffuso è il dolore alla schiena che di frequente coinvolge contemporaneamente sia la zona inferiore  della schiena sia le gambe; si registra però anche una forte incidenza di fibromialgie, vulvodinie, emicranie.

Il dolore cronico può avere effetti devastanti sulla vita quotidiana e compromettere attività lavorative, relazioni interpersonali e mobilità, rendendo impossibili per milioni di persone gesti semplici. La dimensione del problema è tale da configurare il dolore cronico come un grave problema sociale.

I risultati della Survey

  • Pochi pazienti si rivolgono ad uno specialista. La tendenza a sottovalutare il problema è diffusa in tutta Europa: il 35% dei pazienti – nei 4 Paesi interessati dalla Survey – non si è mai rivolto a uno specialista perché il medico di base non lo ha richiesto. In Italia non ha contattato uno specialista il 25,7% dei pazienti, il 15% ne ignorava l’esistenza, il 13% non ha trovato soluzioni idonee nel proprio territorio mentre addirittura un paziente su 10 (circa l’11%) ha rinunciato per mancanza di coperture economiche (rimborsi, assicurazioni).

Commenta, in proposito, il dottor Giovanni Frigerio, Responsabile Centro di Terapia del Dolore all’Istituto Clinico Villa Aprica, Como: Questo evidenzia come , purtroppo, i pazienti che giungono alla nostra osservazione, nella maggior parte dei casi lo facciano dopo molto (o troppo) tempo e dopo molti trattamenti infruttuosi. Le possibilità di successo della terapia antalgica sono maggiori quanto meno tempo si aspetta convivendo con il dolore cronico

Non migliore la situazione negli altri Paesi: in Germania  il 16,8% dei pazienti ignorava l’esistenza di medici specializzati su queste patologie e 1/3 non ha avuto indicazioni dal medico di base; in Gran Bretagna addirittura il 47,4% non è stata indirizzato a uno specialista e 1 paziente su 5 (il 19,2%) non ne conosceva l’esistenza, mentre anche in Spagna il 36% dei pazienti non ha ricevuto consigli dal proprio medico. Eppure, l’impatto nella vita quotidiana di dolori quali mal di schiena, emicrania, fibromialgia e analoghi,  è pesantissimo, con conseguenze molto serie e perdita di giornate lavorative. 

Per la Dr.ssa Laura Demartini, Responsabile di Unità Semplice Terapia del Dolore, ICS Maugeri, Pavia “Le criticità per cui i pazienti con dolore cronico non arrivano o arrivano dopo anni di attesa ad un Centro di Terapia del Dolore sono di ordine organizzativo e culturale: il primo perché, nonostante siano trascorsi 12 anni dalla promulgazione della Legge 38 e le Regioni abbiano deliberato in merito alla Rete di Terapia del Dolore, non sono stati effettuati gli accreditamenti e i passi necessari a renderla una realtà. Il secondo perché i medici di Medicina Generale ma, anche, diversi specialisti spesso non conoscono le opzioni diagnostiche e terapeutiche fornite dai Centri di Terapia del Dolore e pensano a delle “Cure Palliative” non mirate alla causa del dolore”.

  • Assenze dal lavoro. Mediamente 1 paziente su 5 è stato costretto ad abbandonare il lavoro mentre 1 paziente su 3 si è spesso assentato, a prescindere dalla tipologia di attività svolta.
  • Difficoltà della vita quotidiana. Per il 27,6% dei pazienti affetti da dolore cronico è molto difficile, a volte impossibile, affrontare un lavoroPer 1 paziente su 3 (28,2%) è difficile fare commissioni, salire sui mezzi pubblici, lavare i piatti , fare le pulizie domestiche, il bucato, curare il giardino. Se si tratta di donne, emerge come le difficoltà si presentino con frequenza doppia rispetto agli uomini, con una media del 36% nei 4 Paesi, rispetto al 22,2% degli uomini. Medesime difficoltà sono riferite agli hobby, alla pratica sportiva, alle attività musicali. Si aggiunga che la maggior parte delle donne (49,4%) trova difficile fronteggiare il dolore senza assumere farmaci, a fronte di una percentuale del 28,9% di uomini.
  • Attese per la diagnosi. 1 paziente su 4 attende una diagnosi adeguata e può iniziare terapie appropriate dopo tre anni, mentre per un quarto circa l’attesa è da 1 a 3 anni, con una segnalazione di ”eccellenza” della Spagna, dove la diagnosi arriva, in genere,  entro un anno per il 60% dei pazienti. In Italia il 19,1% degli uomini può attendere anche 10 anni; la percentuale si attesta sull’11,2% per le donne , caratterizzando l’Italia come il Paese con la peggiore performance su questo specifico aspetto.
  • Sottoporre il problema a uno specialista del settore. il 17,7% dei pazienti italiani si è rivolto a  5-10 medici prima di individuare lo specialista più idoneo. Su questo fronte non va sottovalutato il ruolo dei medici di base: un terzo dei pazienti ha ricevuto la diagnosi direttamente dal medico di famiglia. Si evidenzia inoltre che chi si è rivolto subito allo specialista è riuscito ad avere la diagnosi entro un anno.
  • I trattamenti da seguire. Oggi sono disponibili vari trattamenti per migliorare la qualità di vita dei pazienti come farmaci antidolorifici, antinfiammatori, omeopatici. Oppure, dispositivi quali i neurostimolatori midollari, sistemi di ablazione con radiofrequenza, terapie riabilitative, agopuntura. In prevalenza, per ben il 68%, i pazienti si affidano agli antidolorifici e il 51% agli antinfiammatori, con scarso ricorso alle terapie interventistiche. 1 paziente italiano su 10 non riceve alcun trattamento (farmacologico o di altro tipo) per contrastare il dolore cronico.

Il dottor Giuliano De Carolis, Terapista del Dolore presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, analizza questi passaggi: “I dati che emergono dai risultati di questa Survey confermano la preoccupante situazione di una patologia altamente invalidante e non adeguatamente trattata quale è quella del dolore cronico. Questo ,di fatto, è ancora più grave considerando  che oggi abbiamo a disposizione strumenti terapeutici anche non farmacologici che sarebbero in grado di alleviare le sofferenze dei pazienti . Purtroppo, gli anni pandemici che ci stiamo lasciando alle spalle non hanno fatto altro che peggiorare ulteriormente lo scenario italiano dove molti centri e ambulatori di terapia del dolore sono andati in sofferenza e, purtroppo, alcuni stentano ancora oggi a ripartire a pieno regime. Siamo consapevoli che stiamo entrando in un periodo difficile ma ci auguriamo che il nobile impegno della politica possa avere sempre come fine la cura della malattia e la salvaguardia della salute, nel rispetto pieno della dignità della persona”.

Dolore cronico: se ne parla?

Gli italiani non amano parlare del proprio dolore cronico: la maggior parte (47%) teme di non essere presa “sul serio”, il 36,3% di essere giudicata mentre il 29,7% ha paura di annoiare gli interlocutori. Anche su questo fronte emergono sostanziali differenze di genere, con una elevata percentuale di uomini (50,9%) che teme il giudizio più delle donne (20,4%).

Interviene sul tema il dottor Leonardo Consoletti , direttore responsabile SSVD Medicina del dolore degli Ospedali Riuniti di Foggia:  “Dei pazienti che arrivano alla nostra Struttura HUB ospedaliero-universitaria di Foggia  solo 1/3  ci viene inviato dal medico di medicina generale; meno ancora dai colleghi specialisti. Funziona moltissimo il “passaparola” tra pazienti (oltre il 50%) ed è in crescita l’affluenza diretta  mediata da ricerca Web. E sì che siamo presenti sul territorio dal 1992, con centinaia di eventi formativi ed informativi, aziendali ed extraziendali. Ma non demordiamo: la prossima giornata mondiale sul dolore cronico ci vedrà ancora in piazza col nostro Gazebo informativo e col personale, anche volontario, per “difendere“ la legge 38/2010 e promuoverne il significato “