Home Hic et Nunc ADOLESCENTI, LA FINE DEL COVID NON METTE FINE ALLA SOFFERENZA

ADOLESCENTI, LA FINE DEL COVID NON METTE FINE ALLA SOFFERENZA

di Pietro Romano

Quaranteenagers. È l’appellativo che il quotidiano Usa The New York Times ha coniato per gli adolescenti al tempo dell’isolamento causa covid. Un segmento di popolazione che la psicologa clinica Lisa Damour ha invitato genitori ed educatori a tenere particolarmente sotto controllo. La verità infatti è che al monitoraggio costante sul fronte dell’epidemia non sono corrisposti in maniera altrettanto premurosa né un controllo del quadro medico generale né una verifica della salute mentale di bambini e adolescenti.

Nel primo caso i giovani sono in buona – si fa per dire – compagnia. In mezza Europa i dati sulla mortalità dimostrano che i decessi per casi extra covid sono, e continuano ad essere, in netta crescita rispetto agli anni precedenti la pandemia. In Italia i più recenti di questi dati non sono ancora reperibili ma niente lascia prevedere un’inversione di tendenza rispetto alla media europea.

Per quanto riguarda la salute mentale dei più giovani purtroppo a fornire fedele testimonianza del disagio sono i numeri di ricoveri e richieste di sostegno che mettono sotto i riflettori i danni provocati principalmente dalla perdita – causa confinamento – dei riti di passaggio fondamentali per procedere nel cammino verso l’indipendenza. Una perdita che rischia di trascinare le sue nefaste conseguenze per un pezzo importante di futuro delle donne e degli uomini di domani.

È evidente quindi che – come ha sottolineato l’Unicef – si deve uscire da questa pandemia con un più adeguato approccio alla salute mentale di bambini e adolescenti, affrontando questo problema con un abbordaggio più attento. Ma è anche evidente – e non dobbiamo altrimenti farci fuorviare – che non ci si può permettere di lasciare a se stessi i quaranteenagers aspettando che i loro fratelli minori, quasi messianicamente, rimettano a posto le rotelle dell’ingranaggio. Giacché, lo ha messo in luce la società italiana di neuropsichiatria infantile, l’aumento del disagio nella fascia evolutiva, e nello specifico in quella adolescenziale, non è di oggi. La pandemia si è “limitata” a palesare prima e ad accelerare poi i fenomeni psicopatologici.

Che fare? rappresenta la domanda d’obbligo anche in questo caso. Genitori ed educatori devono riprendere il loro ruolo che l’emergenza ha in qualche modo spazzato via. Ne va della sopravvivenza stessa della Nazione italiana (e non solo, ma per ora circoscriviamo al nostro Paese il problema). La qualità del futuro di un territorio – ha infatti scritto il demografo Alessandro Rosina – è strettamente dipendente dalla valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni. Un capitale umano che di sicuro non può godere di valorizzazione quando è depauperato come rischia di esserlo quello degli adolescenti di oggi.

Il compito quindi diventa anche istituzionale. Ma i passaggi per questo salto di qualità devono essere collettivi. Non tanti piccoli passi compiuti in ogni direzione possibile e immaginabile nel tentativo di trovare ognuno la propria soluzione, magari tramite il dono di ogni genere di aggeggio elettronico della dubbia utilità. Ma tanti piccoli passi che come tessere di mosaico compongono un’unica, compiuta illustrazione. Una illustrazione che cerchi di corrispondere a un progetto Paese nel quale tutte le generazioni – adolescenti compresi – si possano riconoscere e possano veder riconosciuto il proprio ruolo.