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TORNARE AD INVESTIRE IN TITOLI DI STATO

titoli di stato

È necessario tornare a detenere i titoli rappresentativi del nostro debito all’interno del Paese. Per fare questo l’Italia ha la necessità di utilizzare il risparmio degli italiani; sia per sostenere l’economia sia per creare nuovi posti di lavoro, elaborando strategie di aumento degli investimenti produttivi

di Luca Lippi

Il cuneo fiscale è stato in parte finanziato a deficit, nella sostanza aumentando il debito. Aumentare il debito, fin quando quest’ultimo resta nella disponibilità delle istituzioni finanziarie, significa nel futuro consolidare sottomissione e perpetrare politiche di austerity pretese dai nostri creditori. Aumentare i posti di lavoro e la massa circolante di denaro sono due elementi fondamentali.

Uscendo dalle ristrettezze della teoria neoliberista della neutralità della moneta, riprendiamo la formula che l’ha generata.

M x V = P x Q

  • M = Massa monetaria
  • V = Velocità di circolazione della moneta
  • P = livello medio dei prezzi
  • Q = quantità di beni e servizi prodotti e scambiati
I neoliberisti hanno stabilito V e Q valori costanti e quindi non può esserci alcun dubbio sul fatto che aumentando la quantità di moneta, l’unico effetto sarà l’aumento dei prezzi. Tuttavia, è vero anche che Q rimarrebbe costante solo a condizione che vi sia una piena occupazione, ed è innegabile che non è il caso del nostro Paese. Altrettanto innegabile è il fatto che il tasso di disoccupazione elevato crei un rallentamento importante nella capacità produttiva.

Questa la premessa per introdurre la necessità, da parte del Governo, di invitare i risparmiatori a rendere disponibili i propri accantonamenti. Dall’ultima stima di Ener2Crowd calcolata sui dati della Banca d’Italia (21 marzo 2023), sui conti correnti degli italiani giacciono 1100 miliardi di Euro circa. Il 50% di questa disponibilità dovrebbe essere intercettata per pianificare profittevolmente una strategia di rilancio degli investimenti produttivi; generando l’aumento dei consumi, del PIL, dell’occupazione e del reddito dei cittadini.

Perche’ tornare a investire in titoli di stato

Le obbligazioni in generale sono un asset class molto importante. Eppure recentemente le cose sono cambiate, fino all’anno in corso, quando sono tornate ad avere un ruolo principale nei nostri portafogli. Le obbligazioni, sostanzialmente, sono titoli rappresentativi di un prestito che facciamo ad aziende private oppure a Stati.

Il prestito ovviamente è finalizzato a raccogliere degli interessi. Perché fino a quasi tutto lo scorso anno (2022) nessuno ha prestato attenzione a questa forma di investimento? La risposta è semplice; le obbligazioni a seguito delle politiche monetarie delle banche centrali hanno avuto rendimenti molto bassi, addirittura negativi. Ovvio che i rendimenti sono legati anche all’inflazione e negli ultimi dieci anni è stata bassissima – sotto l’uno per cento e a tratti anche in deflazione – non solo in Italia. Questo, sostanzialmente, il motivo che ha distratto il risparmiatore dal considerare l’obbligazione uno strumento di tutela del risparmio.

Quanto sono importanti le obbligazioni

Anche per i fanatici dei mercati azionari – recentemente anche delle criptovalute, e più arcaicamente dei beni rifugio – le obbligazioni sono uno strumento importantissimo per qualunque investitore/risparmiatore.

Basti pensare che ad oggi ci sono circa mille miliardi di obbligazioni sul mercato contro i centodieci miliardi di azioni. Allo stato attuale, i rendimenti a due anni delle obbligazioni negli Usa pagano poco meno del 5% (stiamo analizzando le obbligazioni governative, quindi “senza rischio emittente”), dall’altra parte abbiamo il mercato azionario, molto più sollecitabile da flussi di liquidità, la causa è la dimensione molto ridotta rispetto al mercato obbligazionario, inoltre senza alcuna garanzia di rendimenti costanti ma, soprattutto, a pericolo di perdita del capitale inizialmente investito.

Nonostante tutto, in periodi di rendimenti vicino allo zero per le obbligazioni, anche assumere rischi spostando l’attenzione sui mercati azionari, di sicuro gratificava maggiormente l’investitore, anche quello meno preparato a navigare certe dinamiche.

Oggi le valutazioni da fare sono totalmente mutate. In Italia, un BTP a due anni rende quasi il 4% lordo annuo mentre il mercato azionario è sostanzialmente ai massimi e si fatica pensare che nei prossimi due anni possa performare positivamente considerando tutte le tensioni internazionali e la crisi.

mercato obbligazionario

Come approcciare al mercato obbligazionario

Le poche cose da considerare sono sostanzialmente due: il rischio emittente e il rischio cambio.

Il primo è da valutare sulla base della probabilità che il Paese emittente possa andare in default (fallisca). Da questo rischio si rifugge guardando i rendimenti dei titoli rappresentativi del proprio debito; se un Paese emittente offre tassi meno convenienti rispetto ad altri Paesi emittenti, sostanzialmente vuol dire che la solidità dell’emittente è maggiore per il Paese che offre meno interessi sul prestito – è semplice confrontare i rendimenti obbligazionari dei titoli di stato degli Stati Uniti o dell’Italia, rispetto a quelli del Brasile, Argentina, Venezuela…).

Il rischio cambio, per esempio da parte di un investitore Italiano che voglia sottoscrivere titoli di stato statunitensi, è legato a quanto abbiamo pagato i Dollaro nel momento dell’acquisto, e a quanto lo vendiamo nel momento che il titolo scade. Se il Dollaro si è apprezzato
sull’euro, oltre il guadagno dell’interesse legato all’obbligazione, andremo a guadagnare anche sulla differenza tra prezzo di acquisto del Dollaro e quello di vendita, viceversa consolideremo una perdita che andrà a erodere il guadagno dell’interesse pagato dall’obbligazione. Ultimo, ma il più importante, c’è il rischio tasso.

Le performances delle obbligazioni sono inversamente correlate ai tassi di interesse. Se i tassi delle nuove obbligazioni in emissione aumentano, ecco che le obbligazioni già in portafoglio andranno a scendere di quotazione, se invece i tassi diminuiscono, le obbligazioni che abbiamo in portafoglio a tassi più vantaggiosi aumentano. Ovviamente, se il titolo si porta a scadenza non si avrà nessun tipo di perdita o di guadagno in relazione all’aumento o diminuzione dei tassi da parte della banca centrale.

Ha senso investire in obbligazioni oggi?

Molti dicono che investire in obbligazioni sia poco conveniente finché le banche centrali continueranno ad aumentare i tassi. Il ragionamento è parzialmente condivisibile, nessuno può prevedere le mosse delle banche centrali pur avendo contezza di una linea guida, ma ragionare in questi termini significa “speculare” e se la propensione è quella di speculare allora è bene rischiare i propri risparmi sul mercato azionario. Investire in obbligazioni significa cercare di tutelare prima di tutto il capitale, e in seconda analisi proteggerlo dall’erosione dell’inflazione. Se proprio si teme l’impennata dell’inflazione e un prolungamento della sua china, allora è bene investire in obbligazioni di breve durata e portarle alla loro scadenza naturale.

CONCLUSIONE

Non è ipotizzabile che i tassi proseguano ad aumentare dai livelli attuali e per un lasso di tempo ulteriore ai prossimi cinque anni, quindi orientarsi per l’acquisto di obbligazioni a durata residua non superiore ai cinque anni è già una scelta condivisibile, ma nessuno ha “la palla di vetro” e quindi accontentarsi di un rendimento intorno al 4% senza posizionarsi su scadenze bibliche rimane la scelta migliore rispetto a lasciare le liquidità sui conti correnti e vedere erodere il potere d’acquisto di quel tesoretto dall’inflazione.

Il Governo dovrebbe intercettare le somme giacenti sui conti correnti stipulando contratti vincolati, garantiti dal Tesoro e negoziabili facilmente fra privati per aumentare la velocità di circolazione di “moneta” nel mercato interno, vigilare che questi contratti non siano intercettati dal mondo Finanziario, e provvedere al loro impiego per investimenti produttivi e generatori di aumento dei consumi, del PIL, dell’occupazione e del reddito dei cittadini, senza creare altro deficit.