Home ORE12 Economia REDDITO UNIVERSALE: TUTTI NE PARLANO NESSUNO LO ADOTTA

REDDITO UNIVERSALE: TUTTI NE PARLANO NESSUNO LO ADOTTA

Di Luca Lippi

Si è aperta un’altra finestra nel dibattito parlamentare ed è quella sul reddito universale. Lo scopo è sempre il medesimo di altri provvedimenti simili: combattere la povertà e ridurre le disuguaglianze

Il reddito universale segue la scia del reddito di cittadinanza e del salario minimo. A sostegno della nuova trovata si spendono esempi di Paesi dove il reddito universale sarebbe già in uso e con successo, e allora è necessaria un’analisi attenta dell’argomento prima che la nuova bandiera si trasformi nell’ennesima battaglia “ideologica” vuota di contenuti concreti.

REDDITO UNIVERSALE, DI CITTADINANZA E SALARIO MINIMO

Il reddito universale deve rivolgersi a tutti senza distinzioni, sarebbe necessario e sufficiente sia per chi ha un lavoro sia per il disoccupato ed è facile confonderlo col salario minimo che, invece, è per chi un lavoro ce l’ha. Al netto del salario minimo – presente in 21 Paesi su 27 in Europa – sia il reddito universale sia il reddito di cittadinanza – senza un riordino vero e proprio del mondo del lavoro che, necessariamente va verso una rivoluzione simile a quella industriale della seconda metà del settecento ma che poi ebbe un’ulteriore fiammata nella seconda metà dell’ottocento – in assenza di rimodulazioni tecnologiche, crescita e sviluppo economico, e profonde modifiche socioculturali e politiche, sono destinate a rimanere bandiere ideologiche e marchette elettorali lontanissime dal produrre benefici, utili solamente ad aumentare il deficit e indebolire, fino ad annullarla, la manodopera a bassa specializzazione.

GLI ESEMPI DI REDDITO UNIVERSALE GIA’ NOTI

Senza alcuna conoscenza dell’argomento, più di qualcuno ha sollevato il vessillo di presunti virtuosi che già avrebbero in uso il reddito universale. Il primo esempio sarebbe l’Alaska, poi l’Iran, ma in nessuno dei due casi si può parlare di reddito universale. Prima di tutto l’Alaska non è universale – sono 732.673 (2021) abitanti -. In Svezia è stato provato ma per quattromila persone e per soli due anni e comunque è stato un fallimento e, ultimo ma non ultimo, non si parla di reddito universale, ma una specie di reddito di cittadinanza che – questo sì universalmente – non è servito a niente. 

Nello specifico di quanto accaduto in Alaska: negli anni settanta si scoprì un’importante quantità di petrolio, e decisero di fare quello che poi anche i norvegesi hanno fatto, una specie di trust statale che gestisce i proventi della vendita di petrolio stabilendo un dividendo da distribuire a tutti i cittadini.

PRINCIPALI PROBLEMI DEL REDDITO UNIVERSALE

Universal basic income, questo è il nome preferito dai fans del social welfare proposal, è un provvedimento che avrebbe anche una funzione condivisibile ma non dovrebbe mai sommarsi a un sistema di welfare preesistente. Si verrebbero a creare ingorghi economici all’interno dei quali la pezza sarebbe peggiore del buco. Il reddito universale è un sostitutivo del sistema di welfare, ma non è quello di cui si discute in questi giorni. La sua “universalità” non ha nulla a che fare con una politica di welfare mirato e intelligente dove, per esempio, a primeggiare dovrebbero essere i sussidi di disoccupazione universali, potenziamento delle strutture universitarie e scolastiche pubbliche in generale, borse di studio, revisione e ristrutturazione della sanità pubblica che necessita di interventi drastici migliorativi e maggiormente performanti.

Il premio Nobel Joseph Stiglitz diceva che l’eterogeneità delle persone consentiva la pianificazione di un reddito di nascita. Alcuni si ammalano più spesso, molti sono più bravi a scuola e godono di borse di studio e non necessitano di grandi sussidi, alcuni hanno periodi di disoccupazione limitati … sulla base di queste variabili mettere a disposizioni di tutti, dalla nascita, una sorta di fondo disponibile. Quest’ultimo se non sarà usato per la scuola perché le capacità autoalimentano il percorso di studi, se il reddito consente di fare fronte senza grossi problemi a conservare uno stato di salute complessivo buono, il fondo rimane sempre disponibile e potrà essere utilizzato per andare in pensione prima. In estrema sintesi si parla di un patrimonio assicurativo collettivo accessibile sin dalla nascita, garantito dallo Stato. È una vecchia idea di economisti di cinquant’anni fa quella di mettere a disposizione di ogni cittadino una disponibilità fungibile di ricchezza che può essere anche incrementata nel corso dell’esistenza dall’individuo, ma questo, in qualche modo richiederebbe anche una riorganizzazione dell’apparato dello Stato che, nella situazione attuale e nello specifico, dello Stato italiano, è piuttosto complicato da rimodulare nel breve termine.

Alla luce di quanto sopra, non si riesce a comprendere la funzione sociale -soprattutto migliorativa – di un reddito universale. Le teorie più mirate degli economisti come Stiglitz, fanno saltare dalla sedia i neoliberisti a tutti i costi, ma, se dobbiamo parlare di welfare, non possiamo permettere al Mercato di trovare soluzioni, deve farlo lo Stato e deve farlo bene. L’origine del reddito universale non ha un’origine!

Si dovrebbe uscire dalla logica assistenzialista a tutti i costi degli ultimi cinque anni che ha raso al suolo la piramide di Maslow. Bisogna farsene una ragione, c’è una parte di individui che non ha voglia di lavorare, non è capace di fare niente per mille ragioni – nascono poveri oppure ricchi, non c’è differenza – e sussidiarli spegne loro ogni possibilità di attivarsi per cercare di raggiungere uno scopo qualunque. Questa indole che, fortunatamente, è di pochi, è stata alimentata e contestualmente ha ampliato una platea di fannulloni che ha l’ardire di pretendere il mantenimento in forza della loro unica capacità, quella di creare consenso politico. L’invito al mediocre e alla mediocrità si magnifica col sussidio in ogni sua forma, e allora è inutile cercare nomi che fanno velo, chiamiamolo reddito di esistenza.