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QUESTIONE ISRAELIANA E MERCATI

Come ogni guerra, anche l’attacco a Israele crea qualche scompiglio nel già delicato equilibrio dei mercati. Il risparmiatore, specie se inesperto, vuole capire – soprattutto sapere – cosa dovrebbe fare in situazioni come queste

di Luca Lippi

È necessaria una premessa. Ogni investitore dovrebbe creare un portafoglio coerente con degli obiettivi precisi. Questo non avviene quasi mai, quindi creandosi condizioni di stress, il disagio è inevitabile. Superata la fase in cui la maggior parte degli investitori “fai da te” prende coscienza del proprio disarmo verso situazioni di alta volatilità e incertezza, cogliere l’occasione per aggiungere maggiore consapevolezza – sbagliando si impara – non è mai un aspetto negativo.

I mercati nel breve periodo votano, nel lungo pesano

Sicuramente per chi non si occupa professionalmente di finanza, questa apertura non ha alcun senso, invece esprime un dogma imprescindibile. Significa che nel breve periodo i mercati sono preda delle notizie come chiunque si trovi in mezzo a una situazione non prevedibile. Dunque i mercati mostrano una sovra reazione. Il caso di Israele è uno di questi.

Cercando di rimanere sulla concretezza, superando l’assunto che la guerra è sempre un elemento drammatico, quanto peserà nel lungo periodo la sovra eccitazione di cui sopra?

Un esempio pratico recente

I mercati, in qualche modo, la guerra in Ucraina l’hanno interiorizzata nel medio periodo. Il problema più grande è stato il gas russo nell’immediato, poi sostituito dal gas naturale liquefatto. Questo brevissimo esempio fa emergere che i mercati nel medio periodo cercano di risolvere e stabilizzare le questioni riguardanti esclusivamente le dinamiche sugli utili aziendali – mercati reali -.

L’investitore che ha “scommesso” sui mercati del Medioriente difficilmente avrà conseguenze di lungo periodo. L’area del Medioriente è da sempre geograficamente interessata da tensioni, i mercati sono predisposti a convivere con le tensioni politiche. L’impatto sul breve, invece, è scontato perché gli analisti finanziari sono preparati a lavorare sul “noto” ma nessuno sull’ignoto. E i mercati non gradiscono il disordine improvviso, ma sono sempre pronti a muoversi anche sul moderato disordine purché sia “solito”.

Uno piu’ uno non fa quasi mai due

L’approccio scientifico è opportuno in Economia, ma in Finanza quasi mai. Significa che avere competenze matematiche e scientifiche in generale da utilizzare nell’analisi dei propri investimenti non presuppone la matematica previsione degli andamenti futuri. In finanza il contesto narrativo in cui si sviluppano determinate situazioni ha un peso e la narrazione, sempre, non corrisponde a teorie dogmatiche. Per chiarire il concetto: nel 2001 i tassi salivano e l’economia cresceva perché la narrazione sottolineava ottimismo generalizzato, Alan Greenspan – all’epoca presidente della Federal Reserve – alzava i tassi per frenare l’economia. Oggi la narrazione scivola su uno scenario economico negativo e quindi la guerra diventa un ulteriore elemento di squilibrio. In estrema sintesi si amplificano le notizie negative e i dogmi matematici, che sono gli stessi del 2001, oggi hanno un peso totalmente diverso. Conclusione: sia nel 2001 sia oggi le scienze esatte in finanza non contano niente. Al netto di tutto questo, però, rimane la certezza che in Finanza i drammi sono tali nel breve ma perdono sempre il loro vigore nel medio e lungo termine.

Le correlazioni negative

Le guerre improvvise, come ogni evento violento, creano disequilibrio anche nelle correlazioni negative. Per fare un esempio: le azioni e le obbligazioni, notoriamente, sono correlate negativamente nel lungo periodo. Tuttavia possono esserci periodi di panico persistente in cui azioni e obbligazioni perdono valore simultaneamente.

Gli analisti – sempre, ma in periodi come quello che stiamo vivendo con maggiore attenzione – tengono sotto controllo l’indicatore BETA. Questo indicatore, riferito a un singolo titolo o a un indice, misura la reattività rispetto al mercato. Per semplificare ulteriormente: un Beta maggiore di UNO significa che il titolo, o l’indice tende a performare positivamente, amplificando il trend positivo, ma se il trend è negativo significa che il titolo o l’indice performa negativamente, amplificando il trend negativo.

Cosa fare

Dobbiamo necessariamente ipotizzare che la crisi mediorientale attuale procuri correzioni importanti sui mercati. Prima azione è quella di lasciare maturare i ribassi, l’investitore professionista deve sempre accettare la volatilità, quello non professionista deve imparare a farlo. Ci sono due approcci opposti e errati: quello del risparmiatore che vede crollare i propri investimenti e – colto dal panico – vende; all’opposto quello che vede scendere il mercato, corre all’acquisto per abbassare il prezzo medio di carico dei titoli già in portafoglio. Questo comportamento è noto in finanza come “prendere il coltello ancora in caduta con le mani”. Lasciare maturare i ribassi è importante per evitare di farsi del male.

Altra indicazione positiva per superare questo periodo confuso – ammesso che se ne abbia la possibilità – è quello di inserire piccole quote di investimento su ETF in small caps. I motivi di questa indicazione sono due: il primo perché il mercato delle small caps (azioni di aziende a bassa capitalizzazione) rispetto al rialzo del mercato azionario (delle large caps) degli anni precedenti, è rimasto un po’ indietro, quindi ha spazio per crescere; il secondo motivo è legato allo sviluppo della crisi del Medioriente. Se quest’ultima dovesse evolvere molto negativamente (per esempio come accadde nel 1991 con Saddam Hussein) le aziende a bassa capitalizzazione sono meno esposte perché difficilmente hanno un mercato di sbocco nella zona di epicentro della crisi. Paradossalmente le aziende a bassa capitalizzazione assumono una funzione protettiva rispetto a quelle che sono le crisi globali.

Un’altra possibilità, sempre per chi dispone di liquidità, è quella di cominciare a prendere in considerazione i TRIGGER PAC (piani di accumulo) non legati a intervalli temporali, ma alle oscillazioni di mercato, cioè, entrano con quote prestabilite nel momento in cui il mercato di riferimento mette a segno una perdita percentuale stabilita a monte dal gestore del fondo. Quanto sopra è una riflessione a titolo informativo e non ha alcuna pretesa di costituire sollecitazione a sottoscrivere titoli o strumenti finanziari.