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COME UN RISPARMATORE DEVE GUARDARE LA CRISI MEDIORIENTALE

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Quali conseguenze economiche potrebbero emergere da una guerra in Medioriente rispetto a cinquant’anni fa?

di Luca Lippi

Il sette ottobre da Gaza sono partiti migliaia di razzi con destinazione Israele. Questa la cronaca nota di un attacco improvviso, simile a quello subito, sempre da Israele, nel 1973 quando Egitto e Siria attaccarono due frontiere, Nord e Sud, dello stato ebraico. Senza entrare troppo nello specifico, è utile ricordare che rispetto a cinquant’anni fa molti paesi, anche arabi, nel tempo hanno compiuto processi di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv.

Allo stato dell’arte non sappiamo quanto potrebbe durare questa tensione, soprattutto non conosciamo e non possiamo ipotizzare, la reazione degli altri paesi arabi. Possiamo sicuramente notare, in un periodo in cui l’economia mondiale è in forte rallentamento, lo sforzo di tutti, compresi i sauditi, a tenere la situazione più che possibile sotto controllo per evitare un aumento di criticità delle diverse economie globali.

Le borse non hanno reagito

I governi dei Paesi con il maggior peso per gli equilibri mondiali ed economici, agiscono con la massima cautela. Questo atteggiamento rassicura le Borse che, come sempre abbiamo sottolineato, soffrono l’incertezza, non gli eventi – seppure perniciosi – noti. L’attenzione ad evitare “guai” da parte di Pechino e Mosca fino ad arrivare a Washington, rassicura anche la Finanza che al momento non ravvisa elementi di preoccupazione.

Gas e petrolio

Mentre nel 1973 i sauditi hanno usato la leva del prezzo del gas e del petrolio per manifestare la loro potenza “contrattuale”, oggi è cambiato molto. Nel 1973 l’Arabia Saudita e i pesi del Golfo erano puri fornitori. Oggi quegli stessi paesi hanno industrie sulle quali investono massicciamente, hanno sviluppato un’industria del turismo all’avanguardia. In sostanza è cambiato il quadro globale e tendono a evitare danni e scossoni ai corridoi finanziari in pieno sviluppo scollegati dalla più radicata economia dell’estrazione di materie prime.

È cambiato il quadro globale dei soli paesi arabi?

No! Il rapporto economico che corre tra Pechino e Mosca è diventato fondamentale e l’incontro recente tra i due leader non è stato pianificato per l’evento mediorientale, ma già programmato da diversi mesi per mettere a punto accordi commerciali e strategici. Cosa diversa è l’incontro tra Biden e Netanyahu, coincidente con l’incontro tra Russia e Cina, nel quale gli Usa e Israele hanno soprattutto concordato di non commettere gli stessi errori commessi dopo l’attentato alle due torri da parte degli Stati Uniti. Invitare, senza negare il diritto alla difesa, a una reazione che tenga conto di tutta una serie di implicazioni. In sostanza i due blocchi – quello cinese/russo e quello statunitense – hanno deciso di muovere piccoli passi cercando di normalizzare più che possibile una situazione estremamente esplosiva e dannosa per tutti al minimo passo falso.

Come si muovono i paesi arabi

Qui entra in gioco anche l’Italia – come altri paesi – che ha rapporti piuttosto importanti con il Qatar. Non dimentichiamo che Sala ha ceduto pezzi della città che amministra, ma anche lo sport italiano ha ceduto intere società sportive ai qatarioti. Il problema non sono i rapporti di natura economica e finanziaria con un partner – tutto sommato – sempre dimostratosi affidabile. Il corto circuito, invece, emerge quando il Qatar – sostanzialmente – si dimostra filo palestinese, ma soprattutto filo Hamas. Con queste premesse, il mondo occidentale -quindi anche l’Italia -dovrebbe, forse, fornire delle spiegazioni agli osservatori critici delle tensioni in Medioriente.

In realtà, in questo caso, emerge la potenza finanziaria rispetto a qualsiasi altra questione, sia essa “morale” ma soprattutto politica. La potenza negoziale del Qatar è proporzionale all’immensa ricchezza che giace sotto il terreno su cui i qatarioti camminano ogni giorno. Di contro, c’è da considerare che il Qatar ha un lievissimo problema di natura geografica; l’immensa ricchezza che lo rende così forte, sotto le acque del
Golfo persico, confina con l’Iran. Dobbiamo tenere in considerazione che l’Iran è un Pese forte di 84 milioni di abitanti (rilevazione 2021 tradingeconomics.com), mentre il Qatar conta due milioni e settecentomila abitanti, sicuramente una sproporzione che escluderebbe ogni possibilità di “scontro fisico” tra i due paesi. A parte la posizione piuttosto sconveniente in termini di forza militare, il Qatar non può che “ammiccare” alle posizioni di Hamas giacché il suo vicino è il più aggressivo del Medioriente.

L’Europa nello scenario mediorientale

Archiviamo immediatamente la pratica dicendo che l’Europa, oggi, non ha alcun peso geopolitico. La lotta interna che l’ha vista concentrata a indebolire le economie di alcuni paesi membri geograficamente più avvantaggiati, quindi potenziali concorrenti a primeggiare nei contesti economici interni con altri paesi membri, ha causato un processo di autodistruzione che, con la prepotente incursione di crisi economiche globali, l’ha indebolita fino a perdere ogni peso nelle decisioni e nelle mediazioni. In questo momento, con le tensioni che ci sono nel mondo, il ruolo dell’Europa potrebbe essere rilevante, ma non oggi. Emblematico è l’autogol cui la UE ha assistito senza prendere posizione, quando la Francia, per togliere dominio negoziale all’Italia nei paesi del Nordafrica, ha sostanzialmente fatto crollare ogni forma di influenza che fino a soli quindici anni fa l’Europa poteva vantare.

Al netto di tutto questo, l’Europa non ha più autonomia economica e finanziaria, non ha più un esercito, è quindi condannata a dover spalleggiare l’alleato di sempre, ancora di più oggi. Ovviamente nessun paese membro è in condizione di affrancarsi da questa situazione, Italia compresa. Tuttavia, considerando l’Italia il Paese, in Europa, con la migliore posizione geografica, ed avendo sempre negoziato con il Nordafrica, ma anche con la Russia (confinante degli Usa), conserva una tradizione negoziale molto utile all’alleato di sempre.

Chiarito che l’Europa non può avere alcun peso nelle tensioni mediorientali, è utile sottolineare che non possedendo materie prime, è totalmente dipendente dalla Russia e dalla Cina. Con la Russia ha dovuto raffreddare i rapporti – per motivi che sono già noti – e quindi è costretta a flirtare con la Cina. Mentre gli Stati uniti hanno una capacità negoziale con la Cina perché l’uno per l’altro hanno materia “necessaria” e la possibilità di scambio è un potere negoziale determinante. L’Europa non ha merce di scambio, quindi la sua unica possibilità è quella di allearsi – con le negatività conseguenti al ruolo di sottomissione -. Prima su tutte, il Vecchio continente è un mercato per la Cina, e quindi quest’ultima sfrutta la sua forza negoziale sul mercato europeo minandone il tessuto industriale, motivo per cui anche la Germania (la più forte economia europea) è in fortissima crisi. Figurarsi cosa accadrebbe se la Cina dovesse prendere posizione sulla questione mediorientale!

La via di fuga indiana

L’india è sicuramente un mercato in forte espansione su cui si potrebbe lavorare, ma il problema attuale dello stato federale dell’Asia meridionale è l’autoreferenzialità. L’India cresce al suo interno, ha un mercato che si autoalimenta e per questo motivo è ancora fuori dai giochi economici e politici.

Concludendo la panoramica e volendo estrarre una sintesi, allo stato dell’arte le tensioni mediorientali non stanno producendo squilibri economici sensibili. Gli attori sono esclusivamente Stati Uniti, Israele, Palestina ma, soprattutto, Hamas. È una guerra che non ha mire di carattere economico, tuttavia gli attori sono molto attenti a non lasciare che l’evoluzione possa innescare micce per l’allargamento del conflitto e
conseguenti deflagrazioni economiche. L’inflazione e le politiche monetarie delle banche centrali rimangono l’unico pensiero per gli operatori di Mercato, e al momento non ci sono pericoli concreti di aumenti incontrollati di materie prime come gas e petrolio, particolarmente interessanti per le finanze dei consumatori.