Home ORE12 Economia AI, DATA CENTRE E PONTE SULLO STRETTO

AI, DATA CENTRE E PONTE SULLO STRETTO

L’approvvigionamento energetico è una delle tante sfide che le economie più sviluppate devono vincere se vogliono rimanere tali. Sul Financial Times del 17 aprile 2024 un articolo molto interessante collega due mondi, non sempre associati: il tema dell’Intelligenza Artificiale e quello, appunto, dell’approvvigionamento energetico (data center)

di Luca Lippi

Il mercato rialzista che si è osservato da ottobre dello scorso anno è stato fortemente sostenuto dai titoli legati all’AI. Tuttavia di AI se ne è sempre parlato dal punto di vista della potenza computazionale, mega computers in grado di elaborare algoritmi necessari a rendere fruibili dati e informazioni. Non è mai stato affrontato il problema dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico.

Financial Times

I Data center e l’impiego massiccio di energia

L’articolo in introduzione sottolinea che il “boom dell’AI minaccia le forniture energetiche globali”. Ovviamente il titolo esagera nei termini, è una tattica per catturare l’attenzione del lettore, ma sottolinea che le società come Amazon, Microsoft, Google…stanno investendo miliardi di dollari in infrastrutture tecnologiche allo scopo di “potenziare la potenzialità” di calcolo della loro AI. La creazione di questi data centre presuppone un impiego massiccio di energia per funzionare e il limite allo sviluppo di queste infrastrutture è proprio l’apporto energetico.

Questo è un problema sempre più grave perché: gli investimenti dei colossi di cui sopra – ma non solo loro – sull’AI continuano a crescere, inversamente si manifesta il limite sulla fornitura elettrica necessaria per far lavorare queste infrastrutture. I limiti emergono non solo per il reperimento dell’energia, ma soprattutto per i costi.

I data center consumano circa 200 terawattora (TWh) di energia all’anno e si prevede che il loro consumo di elettricità aumenterà di circa quindici volte entro il 2030, fino a raggiungere l’8% della domanda complessiva di elettricità. Secondo una ricerca condotta da Alex de Vries della Vrije Universiteit Amsterdam, entro il 2027, solo i data center che alimentano l’AI potrebbero consumare tra 85 e 134 terawattora di energia all’anno, equivalente addirittura al consumo di intere nazioni come l’Argentina o i Paesi Bassi. Una centrale elettrica della potenza di circa un gigawatt (questo tipo di centrali è molto comune) produrrebbe un terawattora di energia in 1000 ore, circa 42 giorni.

Figurarsi che succederà in Italia, dove un grandissimo data-centre è stato sviluppato in Emilia – si dice il più grande d’Europa – e l’energia è quasi tutta di provenienza estera e non a bassissimo costo.

La situazione nel nostro Paese

Le grandi società detentrici delle tecniche di sviluppo dell’AI sono energivore e quindi dovranno diventare – necessariamente – anche energetiche. Alla luce di tutto questo, nel nostro Paese cosa si sta facendo per stare al passo con lo sviluppo dell’AI? Soprattutto, cosa si sta facendo per sostenere il maggior impiego di energia parallelo allo sviluppo dei grandi data centre?

Se è vero, come è vero, che trasversalmente le forze politiche da oltre dieci anni si sono preoccupate solo di sgravare fiscalmente chi dall’estero è venuto a fare impresa, impiegando – a termine – migliaia di precari cronici a buon mercato, è altrettanto vero che l’unico moto di risveglio è rappresentato dalla costruzione del ponte sullo Stretto – costo 13,5 miliardi – per unire la Calabria e la Sicilia, due regioni che soffrono un problema enorme: lo spopolamento. A che serve un ponte per collegare due regioni che stanno spopolandosi a ritmi sostenutissimi?

Forse si poteva impiegare la medesima forza ideologica per comunicare la necessità e la relativa costruzione di una centrale nucleare di nuova generazione. Un’opera così utile – viste le condizioni di dipendenza del nostro Paese – che, almeno alle generazioni future, avrebbe offerto una soluzione necessaria anche per sviluppare data center adeguati a sostenere la concorrenza dall’estero. Si parla di generazioni future perché c’è da considerare i tempi di autorizzazione e di costruzione di una centrale, nel nostro paese non sono ipotizzabili meno di venti anni – più o meno gli anni di cui si “parla” del ponte sullo Stretto -.

In Italia i progetti si sviluppano all’estero

Il problema vero è che mentre gli altri si pongono il problema dello sviluppo dell’AI, in Italia nessuno si pone il problema di come risolvere il danno causato dal referendum di 40 anni fa (peraltro, incidente ancora oggi, per scelta di persone che nella maggior parte non sono più in vita, oltre il fatto che sarebbe stata una decisione da demandare a ingegneri esperti).

Il nostro paese dispone di intelligenza umana sufficiente a sviluppare con successo qualunque progetto innovativo, ma è costretta a farlo all’estero perché da quarant’anni abbiamo rinunciato a investire in infrastrutture strategiche. A furia di arrivare in ritardo su ogni meta intermedia verso l’innovazione, perdendo forza contrattuale, sottomettendoci ad acquistare tecnologie, il nostro destino è inevitabilmente quello di essere inghiottiti nel mondo dei Paesi sottosviluppati.