Home Hic et Nunc “PAYBACK SANITARIO” E NON SOLO, UN RIMPIATTINO TROPPO PERICOLOSO

“PAYBACK SANITARIO” E NON SOLO, UN RIMPIATTINO TROPPO PERICOLOSO

di Pietro Romano

A scagliare da Palazzo Chigi quel boomerang chiamato ‘payback sanitario’ nel dicembre 2014 fu l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi. A porgerglielo era stata la ministra della Salute al tempo in carica, Beatrice Lorenzin, che lo fece inserire nella Legge di Bilancio 2015. Negli anni di questo boomerang si erano perse le tracce, in verità, ma nel luglio scorso l’arma è stata resuscitata dall’esecutivo di Mario Draghi, con Roberto Speranza successore della Lorenzin. Per tornare pericolosamente a piazza Colonna coinvolgendo due personaggi incolpevoli: il premier Giorgia Meloni e il suo ministro Orazio Schillaci. Ora chiamati a togliere dal fuoco castagne arroventate.

Il ‘payback sanitario’ nacque appunto a fine dicembre 2014. L’obiettivo? Quello di costruire un meccanismo che potesse fronteggiare in maniera automatica, o giù di lì, l’incremento della spesa sanitaria pubblica, praticamente sfuggito di mano alle Regioni, alle prese con anni di tagli imposti dai governi che si sono succeduti dal 2011 in poi. In sostanza, questo meccanismo chiama le imprese – che nell’annualità di riferimento hanno fornito dispositivi medici alle strutture sanitarie pubbliche – a contribuire con le Regioni a ripianare lo scostamento dal tetto di spesa stabilito. E così per la prima volta dal 2015 è capitato nel 2022: proprio nel tardo autunno scorso i fornitori pubblici sono stati chiamati a versare entro trenta giorni dall’avviso somme ingenti.

Beatrice Lorenzin

L’attuale governo ha cercato di assicurare una boccata di ossigeno a queste imprese allungando i termini di pagamento di quattro mesi e promettendo una rapida riscrittura del “payback sanitario”, nel quale far rientrare anche la crescita del tetto di spesa destinato a dispositivi e apparecchiature. Il primo di questi interventi è già in vigore. Il secondo si vedrà. In ogni caso il governo Meloni si trova ad affrontare un provvedimento che non ha eguali. Perché nasce da un paio di convinzioni tutte italiane. Che insieme creano un meccanismo perverso.

La prima è un’idea fissa della nostra amministrazione pubblica: i fornitori dello Stato, delle Regioni e di ogni altro ente gonfiano i prezzi. Quindi, perché pagare entro i termini, a esempio? La seconda un’autodifesa (e non sempre solo un’autodifesa) delle imprese che, conoscendo i tempi pubblici di pagamento (biblici di solito), aumentano i prezzi alla fonte per poter rientrare dei danni finanziari causati dai ritardi. In questo pericoloso rimpiattino rischia di rimetterci le ossa la parte più sana di un comparto di tutto rispetto nel sistema Italia. Il settore delle forniture sanitarie è vastissimo. Va dalle gare agli stent coronarici, dai cerotti a meccanismo sofisticatissimi. Vale oltre 16 miliardi di euro, conta più di 4.500 aziende, comprende 110mila e passa addetti. E una parte di aziende, con i loro addetti, rischierebbe di saltare.

Insomma, il problema è tutt’altro che agevole da risolvere. Perché, aumentando il tetto di spesa destinato ai dispositivi, le Regioni dovranno tagliare altrove. Chissà dove, visti i bilanci ridotti già all’osso. E gli allarmi sui conti della sanità pubblica, e sulla sua efficienza, che si vanno moltiplicando. A monte, però, è sempre più necessario un radicale cambio di mentalità negli appalti pubblici e in genere nei rapporti tra imprese fornitrici e Pubblica amministrazione a tutti i livelli. Rapporti che devono uscire una volta per tutte da questa sorta di perenne confronto guardie-ladri.