Home Hic et Nunc GOVERNO NUOVO, SANITÀ VECCHIA?

GOVERNO NUOVO, SANITÀ VECCHIA?

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di Pietro Romano

Per ora è certamente presto anche solo costruire una ipotesi siffatta. Ma diversi segnali fanno apparire all’orizzonte il rischio che il sogno (di un cambiamento) si possa trasformare nell’incubo della stabilità. La stabilità di un atteggiamento punitivo rispetto alla sanità che si perpetua dal governo di Mario Monti in poi

Va dato atto all’attuale esecutivo di essere riuscito a reperire con sforzi rimarchevoli oltre due miliardi aggiuntivi per l’anno in corso. Ma per il 2024 e il 2025 c’è chi nutre dubbi che le promesse sugli addenda di 2,3 e 2,6 miliardi rispettivamente possano essere mantenute. Come ha spiegato Paolo Mazzanti (direttore di “InPiù”) mentre si moltiplicano gli impegni di ulteriore spesa non si moltiplicano le entrate né i risparmi sulle uscite già previste. Certo, l’economia italiana va meglio di quella degli altri grandi Paesi europei ma da qui a ipotizzare un incremento di disponibilità automatico e sufficiente a coprire le necessità aggiuntive ce ne vuole.

Solo la Grecia dopo l’Italia

Il lascito dei governi precedenti intanto continua a produrre danni. Basta vedere quello che sta combinando il payback sanitario. Così come passano dal campo del “mi sembra” a quello della realtà certificata gli allarmi sui tagli alla sanità pubblica

Quanto siano stati draconiani, e probabilmente abbiano messo l’Italia di fronte alla pandemia in stato di evidente debolezza, lo ha dimostrato un autentico referto della Corte dei conti sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali. Da questa indagine emerge che in Europa solo la Grecia destina alla sanità una quota del prodotto interno lordo inferiore a quella italiana: 5,9 per cento ellenico rispetto al 7,1 per cento tricolore.

Ma poi questa percentuale s’impenna: in Spagna sale al 7,8 per cento, nel Regno Unito al 9,9 per cento, in Francia al 10,3 per cento, in Germania al 10,9 per cento.

Spesa Sanitaria: una rinuncia di molti governi

Insomma, negli anni a partire pressappoco dal 2011 i governi, tecnici, pseudo/ tecnici, politici hanno di solito rinunciato all’aumento della spesa sanitaria, anzi l’hanno addirittura tagliata, a favore di altre uscite, come la previdenza e soprattutto presunti ammortizzatori sociali vari, dagli 80 euro elargiti da Matteo Renzi al Reddito di cittadinanza. Anche su questo fronte si dovrà verificare quanterisorse il governo di Giorgia Meloni riuscirà a reperire dalle riforme che sta introducendo.

Nel frattempo, le emergenze sanitarie sono destinate a crescere. Prima di tutto c’è da fronteggiare l’invecchiamento della popolazione. Dopo il Covid è peggiorato lo stato di salute degli anziani. L’Istat ha certificato che oltre 3,5 milioni di ultra 75enni hanno perlomeno tre patologie. Inoltre, si sono allargati i divari tra regioni. Come ha sottolineato “Il Sole 24 Ore”, riassumendo in un punteggio sintetico i 22 risultati regionali dei Livelli essenziali di assistenza, emerge che la Calabria si ferma a 125 punti contro i 222 di Toscana e Veneto, i 221 dell’Emilia Romagna, i 215 della Lombardia.

Vale a dire che un cittadino calabrese ha diritto a poco più di metà sanità di un connazionale che vive in Toscana o in Veneto. Altro che l’Italia “una di lingua, di memorie, di sangue” cantata da Alessandro Manzoni. Si punta ora sul Pnrr. Speriamo che non sia un nuovo messianismo come non pochi ne abbiamo visti, e sofferti, nell’ultimo quarto di secolo.