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EQUO COMPENSO: SI DEVE FARE DI PIU’

A valere dal 20 maggio è entrata in vigore la legge 21 aprile 2023, n. 49 sull’equo compenso

di Luca Lippi

Il principio cardine della nuova Legge è che le grandi aziende, la Pubblica Amministrazione, le imprese bancarie e assicurative devono, obbligatoriamente, corrispondere ai professionisti un “equo compenso”; conforme ai parametri ministeriali e proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.

La legge è figlia di una proposta che si trascina dalla legislatura precedente sempre a firma del Presidente Meloni. La nuova norma ha trovato il conforto del voto all’unanimità sia alla Camera sia al Senato. Sin dall’origine il disegno di legge faceva seguito a una vecchia direttiva sull’equo compenso del 2017, ma che aveva la limitazione di riferirsi essenzialmente alle banche e alle assicurazioni.

Uno degli aspetti, ancora perfettibile, è l’insufficiente estensione dell’ambito soggettivo; rimangono nell’ambito dell’applicazione della norma banche e assicurazioni. Si amplia la platea alla PA e al mondo delle imprese private ma, purtroppo, non a tutti i clienti dei professionisti. L’implementazione dell’ambito soggettivo, più nel particolare, riguarda imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

Queste ultime sono da rubricare tra le medie imprese (secondo i parametri europei). Complessivamente parliamo di 78 mila soggetti (dati Sole24Ore): di cui 27 mila rientranti nell’ambito della PA e il rimanente nell’ambito delle imprese. L’estensione della norma alla PA è particolarmente gradita alle associazioni di professionisti perché permette di evitare che si ripetano situazioni, come negli ultimi anni, di bandi di gara dove sono state chieste prestazioni a titolo gratuito.

Cosa si intende per equo compenso

È il riconoscimento di un compenso proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. L’equità è già stabilita per Legge attraverso i dm 140/2012 e dm 17 giugno 2016, frutto delle elaborazioni e delle disposizioni dei singoli Consigli nazionali degli Ordini o Collegi professionali.

Allo stato dell’arte il compenso più aggiornato è quello dell’Ordine degli avvocati che, infatti, fa riferimento al dm 55 del 2014, quest’ultimo ulteriormente aggiornato all’agosto del 2022. Dunque i parametri di riferimento degli importi sono stabiliti, per ogni categoria e attività, attraverso un decreto ministeriale.

Non si applica a tutti clienti degli studi professionali

Purtroppo qui si evidenzia la mancanza cui si dovrà porre rimedio. Il concetto di “cliente forte”, nella sostanza, non è così facilmente definibile. Per un professionista con 20/25 anni di carriera, il cliente forte è facilmente individuabile, ma per chi è agli inizi della sua carriera professionale, il cliente forte può essere chiunque: dall’artigiano alla tavola calda sotto lo studio.

Il rapporto di forza che intercorre tra il cliente e il professionista è estremamente difficile da catalogare. Sarebbe stato più opportuno allargare al massimo l’ambito soggettivo, anche a tutela dei professionisti con minore forza contrattuale rispetto agli studi professionali affermati.

La tempistica del pagamento

Si parla con estrema chiarezza di un termine non superiore a 60 giorni dall’emissione della fattura o dell’avviso di parcella. Esiste, altresì, anche la possibilità di ricorrere al parere di congruità del compenso richiesto al cliente. Quest’ultimo può essere sottoposto a valutazione dell’ordine professionale di appartenenza. In quest’ultimo caso, come già vale per l’ordinamento forense, il parere di congruità ha valore di titolo esecutivo per il recupero del credito.

Perché l’equo compenso è importante

Il nostro Paese, come anche altri, è in equilibrio su tre pilastri: quello del pubblico impiego (la parte garantita che costa alla collettività circa 162 miliardi l’anno); gli assistiti (pensionati, pensionati reversibili, invalidi), costo 312 miliardi l’anno; terzo e ultimo pilastro, sono i produttivi, che pagano di tasca propria le tasse sopra la loro ricchezza e servono sostanzialmente a pagare il pubblico impiego, la sanità, tutte le pensioni e tutte le forme di assistenza.

In estrema sintesi, senza la parte produttiva con la loro base imponibile (Le Pmi, il commercio, i professionisti e tutte le partite iva, comprese le grandi imprese), non esisterebbe il sostengono al sistema. Sono, di fatto, quelli che pagando le tasse di tasca propria, sostengono il pubblico impiego, le pensioni e la sanità altrimenti lo Stato non starebbe in piedi. Se è vero, come è vero, che il pubblico impiego, di fatto, non paga tasse perché le trattenute sullo stipendio sono comunque soldi messi dallo stato (quindi dalla collettività), il maggior ricavo deriva da tasse pagate dalla parte produttiva.

L’equo compenso è decisamente un’attenzione e un riconoscimento doveroso, forse si dovrebbe fare di più giacché la parte produttiva non ha ferie e malattia pagate – oltre le varie gratifiche e permessi retribuiti – che loro pagano a tutti ma nessuno riconosce loro.